lunedì 30 dicembre 2019

Resistere o fuggire? Accettare pazientemente o difendersi? (Matteo 2:13-23)


Oggi sta aumentando in modo esponenziale in tutto il mondo l’odio e le violenze contro ebrei e cristiani. Le forze che ne sono responsabili non si possono neanche più menzionare a causa di nuove leggi che, con pretesti vari, di fatto proteggono bugiardi e assassini. Com’è tipico per i bulli, i persecutori si fanno passare loro stessi per vittime! Non manca nemmeno, fra di noi, chi queste violenze le giustifica. Tutto questo non sorprende. Gesù stesso diceva: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Giovanni 15:18).

L’odio verso il Dio vero e vivente e tutto ciò che lo riguarda, qualunque forma quest’odio assuma, è costante espressione di questo mondo decaduto e ribelle a Dio. Sarà il mondo a prevalere? E’ un povero illuso se lo crede. Sarà Dio ed il suo Regno a prevalere, a loro vergogna. Troviamo questo persino nei racconti evangelici dell’infanzia di Gesù, che consideriamo quest’oggi, nel capitolo 2 di Matteo.
Leggiamo, allora, in: Matteo 2:13-15; 19-23 “Essi [i Magi] erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Dall'Egitto ho chiamato mio figlio’ [...] Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»” (Matteo 2:13-15; 19-23).
Quel che Dio si propone di fare non può essere in alcun modo frustrato: esso si realizza sempre nonostante le forze che in questo mondo vi si oppongono. Quand’anche dal punto di vista umano lo ritenessimo impossibile, i propositi di Dio si realizzano sempre e esattamente come erano stati da Lui programmati fin dall’eternità.

Il recupero morale e spirituale di una parte dell’umanità, espressione della Sua grazia, sarebbe avvenuto attraverso la venuta in questo mondo, come uomo, del Salvatore Gesù Cristo. Preannunciata dalle antiche profezie di Israele, ciò che riguarda la sua persona ed opera si sarebbe svolto nel modo più certo e sicuro, muovendo Iddio persone e circostanze in maniera provvidenziale.

Quel che riguarda la nascita e l’infanzia di Gesù non ne è eccezione, benché i vangeli di Matteo e Luca, al riguardo, si limitino a darci poche ma significative informazioni. Si tratta di avvenimenti di cui non solo si trovano tracce negli scritti profetici, ma di cui persino la storia di Israele ne è, per molti versi, la prefigurazione. Ecco un’altra ragione per la quale la conoscenza da parte nostra della storia dell’antico Israele non è “opzionale” ma altrettanto importante quanto gli scritti del Nuovo Testamento, perché pure attraverso di essa Dio ci parla. La storia dell’antico Israele non solo è il presupposto degli scritti neotestamentari e loro compimento, ma è anche in sé stessa “messaggio”, com’è scritto: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Romani 15:4).

Maria, Giuseppe e Gesù, bambino, sono incoraggiati a fuggire per salvarsi dal re Erode, che cerca il bambino per ucciderlo. Fuggire è quanto Dio stesso indica a Giuseppe. Ecco così che partono per l’Egitto, unendosi molto probabilmente alla locale comunità ebraica.

Resistere o fuggire? Dipende dalle circostanze e, soprattutto, da ciò che Dio suggerisce di fare agli uomini ed alle donne che lo amano e lo servono e che, invece che sé stessi, mettono al primo posto nella loro vita i propositi rivelati di Dio. Fuggire non è pavidità, se questo risponde a ciò che Dio, attraverso la preghiera, ci indica. E’ tutta questione di stabilire quale sia la migliore “strategia” per giungere agli obiettivi che Dio si propone ed ingannare il diavolo ed i suoi servi. Maria e Giuseppe avrebbero potuto rimanere a Betlemme o da quelle parti e confidare che Dio li avrebbe protetti. No, in quel caso, è meglio la fuga ed il rifugiarsi, temporaneamente, all’estero. Sarebbero tornati sotto migliori auspici, e neanche a Betlemme ma, per maggiore sicurezza, a Nazareth.

Nessuno di quegli spostamenti è “casuale”, ma tutto si rivela conforme ai progetti ultimi di Dio, ed è funzionale a quelli, così com’era stato adombrato dalle antiche profezie. Pure l’antico Isacco, i suoi figli ed il suo clan, si era rifugiato, per sfuggire ad una carestia, in Egitto. Anche in quel caso era stato preceduto da avvenimenti in sé deprecabili, come la storia di Giuseppe, ma, come lui stesso spiegherà ai suoi fratelli: “Ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nella regione e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione” (Genesi 45:5-7). La provvidenza di Dio può assumere tratti sorprendenti.

Anche Gesù avrebbe potuto fuggire e non essere catturato dai suoi avversari, condannato a morte e inchiodato su una croce. Impedisce persino a Pietro di difenderlo con la spada, come stava per avvenire nel giardino del Getsemani. Gesù non si è difeso e non è fuggito. Perché? Non perché volesse proteggere la sua vita, o magari fosse “pacifista” o rispettoso delle autorità. No, perché in quel caso la sua stessa morte in croce sarebbe stata conforme ai propositi di Dio, attraverso la quale Gesù avrebbe operato l’espiazione dei peccati di tutti coloro che gli sono stati affidati per ricevere la grazia della salvezza. Come si vede, la prassi da adottare è circostanziale, dipende dalla migliore “strategia” da adottare per giungere agli scopi che Dio si prefigge.

Così anche noi: dobbiamo sempre chiedere in preghiera al Signore quale sia la migliore strategia da adottare nelle circostanze in cui ci troviamo, quella che meglio risponde alle sue finalità e conformemente alla sua sapienza rivelata.

Esiste un rapporto dialettico fra predeterminazione di fatti ed avvenimenti e le scelte (ed errori) che noi facciamo nella vita, delle quali comunque dovremo rendere conto. Qualunque sia la scelta che dobbiamo fare, dobbiamo (ed è essenziale) chiedere a Dio in preghiera la sua sapienza affinché la nostra sia la scelta giusta, quella che onora Lui e contribuisce a promuovere la causa del Suo regno. Per coloro che amano Dio, però, attraverso le nostre eventuali scelte avventate e sbagliate Dio muove le cose affinché siano i Suoi propositi ultimi a prevalere. Certo non dev'essere per noi una scusa per fare scelte avventate, ma se siamo Suoi figlioli e ci preme che la Sua volontà prevalga, possiamo avere fiducia che ogni cosa rimane sotto suo controllo, e lo è sempre! Potremmo certo ancora soffrire gli inconvenienti temporali delle nostre scelte sbagliate, ma abbiamo fiducia che, come dice la Sua Parola: "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno" (Romani 8:28).

Domenica 5 gennaio 2020 - Seconda domenica dopo Natale
Letture bibliche: Geremia 31:7-14; Efesini 1:3-19; Matteo 2:13-23; Salmo 84

Preghiera. O Dio, che meravigliosamente hai creato, e ancora più meravigliosamente hai restaurato, la dignità della natura umana: concedi che noi si possa condividere la vita divina di colui che si è umiliato per condividere la nostra umanità, il tuo Figlio Gesù Cristo; che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, un solo Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

martedì 24 dicembre 2019

Le parole non bastano: abbiamo bisogno di verbi! (Giovanni 1:1-18)

29 Dicembre 2019 - Prima Domenica dopo Natale

Avete mai provato a fare un discorso cancellando da esso tutti I verbi? Diventa una successione di parole statiche, magari anche belle da contemplare, ma che non porta da nessuna parte... Quando il Dio vero e vivente si esprime Egli ti coinvolge con verbi. Quando Dio entra in questo mondo nella persona di Gesù, il Cristo, Egli non viene come "conferenziere", ma come uomo che unisce sempre la parola all'azione. Ecco perché forse sarebbe meglio considerarlo non tanto come "Parola di Dio", ma come "Verbo di Dio". Dovremmo, con buona ragione, considerarlo così. Lo vediamo oggi dal prologo del vangelo secondo Giovanni.

I termini che usiamo nell'esprimerci o nel ricevere la comunicazione, esercitano su di noi un'impatto psicologico; essi suggeriscono e influenzano, più o meno consapevolmente il modo di pensare, nostro ed altrui. 

Pensiamo ai termini: "verbo" e "parola". Esse sono categorie grammaticali con un preciso significato. Il verbo è quella parte del discorso che indica soprattutto l'azione o il divenire, il movimento. Esso si contrappone alla parola, o nome, che indica sostanza o qualità: amare contrapposto ad amore, ardere contrapposto ad ardore, svolgersi contrapposto a svolta. Benché "parola" possa essere considerata nel senso di messaggio, manifestazione, espressione o comunicazione importante, più spesso "parola" suggerisce qualcosa di statico, di astratto. "Parola", infatti, suggerisce inanità e inconsistenza, contrapposta alla realtà e alla concretezza dell'operare, come in "qui ci vogliono fatti e non parole"; "a parole tutti sono buoni"; "un torrente, un mare, un diluvio di parole", come pure discorsi retorici e formali. Una parola la si contempla, la si ascolta passivamente, un verbo ti coinvolge!

Il prologo del vangelo di Giovanni presenta Gesù come Colui che da sempre era presso Dio, anzi, come Dio stesso, e che si è fatto uomo per vivere ed operare in mezzo a noi. Egli viene presentato, nell'originale greco, come il Logos di Dio. Logos è un termine ricco di significato che nelle nostre lingue non è facile trovarne un corrispettivo che corrisponda pienamente alla sua pregnanza. Nella tradizione delle chiese evangeliche, questo termine viene reso come "la Parola", mentre in quella cattolica-romana (influenzata dalle versioni bibliche latine), questo termine viene reso come "il Verbo". Qual é il termine migliore per tradurre Logos: Verbo oppure Parola? Al di là delle tradizioni da cui proviene, io tenderei a preferire "Verbo", proprio perché, coerentemente al suo uso biblico, esso suggerisce dinamismo, azione, intervento, prassi, e quindi qualcosa che va molto al di là di un semplice "discorso", per quanto autorevole possa essere. Leggiamo, però, prima il testo di Giovanni 1:1-18 in una versione che fa ricorso al termine "verbo".

"In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato" (Giovanni 1:1-18).

1. "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste"

Il verbo fa parte dell'essenza di Dio. Dio agisce, si muove, fa, crea, opera, lavora, produce, trasforma, edifica. Egli non è un principio astratto, una statua immobile, un oggetto fisso da essere adorato, una bocca che parla, occhi che ti scrutano. 
Dio non è il "motore immobile"[1] teorizzato dall'antico Aristotele. A parte il fatto che nemmeno Aristotele vedeva Dio come immobile, perché questa definizione la si dovrebbe meglio intendere come inamovibile, “ciò che si muove senza essere smosso” da terze parti;  oppure "primo motore" (in latino: primum movens).

Lo stesso è Gesù: egli scende fra noi, opera, lavora, trasforma, insegna con l'esempio, guarisce, libera, lotta, prende su di sé per espiarli con il sacrificio di sé stesso, le conseguenze dei peccati del suo popolo per salvarli. Guida e riaccompagna a Dio restituendo dignità a chi l'aveva perduta. Egli è Re servo e pastore. Tutti questi, come pure altri ancora che Lo riguardano, sono verbi, non parole!

Lo stesso è la Parola di Dio così come la troviamo nelle Sacre Scritture: essa non è parola statica ma "verbo": "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore" (Ebrei 4:12). Qui non si tratta di una spada che uccide, ma di qualcosa come il bisturi del chirurgo che opera per ridare vita e salute. Difatti:

2. "In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta". Dio è Colui che crea e che infonde vita a ciò che ha creato, ed è Lui che aveva infuso vita nella creatura umana, fatta a Sua immagine e somiglianza: "Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Genesi 2:7). Senza il Suo intervento, l'essere umano non è che un manufatto spento e senz'anima.

Ribelle a Dio e al Suo ordinamento, l'essere umano "muore", perde la sua sensibilità spirituale. Dio, nella Sua misericordia, però, rigenera spiritualmente coloro che si affidano al Cristo. L'apostolo scrive: "Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo (...) quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati" (Efesini 2:1-5). Come lo fa? Attraverso l'applicazione dell'opera dello Spirito Santo: "Dopo aver purificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità (...) amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna" (1 Pietro 1:22-23). Nulla può opporsi all'opera della grazia di Dio in Gesù Cristo, che opera attraverso il Verbo, Parola viva ed efficace.

3. Ecco così che il Verbo di Dio, il solo che possa dare vita ed illuminare la creatura umana, entra come uomo nel mondo che ha creato. E' un mondo a Lui ribelle ed ostile, ma ha il potere di trasformare in Cristo persone da nemici a amici.  "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati". 

Cristo Gesù entra nel mondo e si crea un popolo, un'umanità rinnovata che, ricevendone titolo per grazia attraverso la fede in Lui,  lo ama e lo serve, collaborando per il consolidamento e l'allargamento in questo mondo della legittima autorità di Dio in ogni sfera della vita, il Suo regno.

4. Ecco così come in Cristo Gesù "il Verbo si fa carne" ed opera attivamente per la redenzione di questo mondo attraverso quelli che Gli appartengono. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. (...) Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato" (Giovanni 1:1-18).

Sì, Dio non è un principio astratto, un idolo muto ed immobile, ma persona vivente ed operante che non solo ha creato e tutto sostiene con il suo verbo potente. In questo mondo a Lui ostile e ribelle Egli raccoglie in Cristo un popolo intraprendente che, ad imitazione di Dio stesso, è "verbo" perché opera, lavora, trasforma, sviluppa, insegna con l'esempio, guarisce, libera, si sacrifica con amore. Il progresso dell'umanità si realizza solo in questa prospettivaL'hanno chiamata "la civiltà giudeo-cristiana", qualcosa di radicalmente diverso da ogni religione o politica di questo mondo. Forze concorrenti vorrebbero che fosse rinnegata e distrutta, ma non ci riusciranno. "La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta" e non la vinceranno, neanche con le contraffazioni, che pure sono molte. La fede cristiana autentica non sono le parole al vento di vuoti discorsi, ma verbo di Dio che ti coinvolge e ti sospinge all'azione mediante la potenza del santo Spirito di Dio. Voi, la conoscete? Ne siete partecipi?

29 Dicembre 2019 - Prima Domenica dopo Natale


Preghiera: Onnipotente Dio, hai riversato su di noi la nuova luce del tuo Verbo incarnato: Fa sì che questa luce, accesa nel nostro cuore, possa brillare nella nostra vita; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

lunedì 16 dicembre 2019

Che cosa c’è in un nome (Matteo 1:18-25)


Il nome che portiamo spesso ci è stato dato in modo arbitrario o circostanziale. I miei genitori mi avevano detto che il mio nome, Paolo, lo avevano scelto guardando sul calendario quale nome, fra I santi riportati nel mese di giugno, piaceva loro maggiormente. Il mio secondo nome, Eugenio, lo avevano scelto perché quello era il nome del mio nonno materno. Gesù aveva ricevuto quel suo nome non perché era quello che piaceva di più a sua madre e a Giuseppe, ma perché così gli era stato dato per rivelazione, insieme al suo secondo nome, Emanuele. Erano nomi che portavano in sé un messaggio. Qual era? Lo troviamo nel vangelo secondo Matteo, al primo capitolo. Vediamo.
"Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 'Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi'. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù" (Matteo 1:18-25).
Di fronte alla gravidanza di Maria, della quale non era responsabile, Giuseppe, suo promesso sposo, medita di abbandonarla segretamente. Dio, però, gli rivela in sogno che ciò che era stato generato in lei proveniva da Dio stesso e che dell’integrità morale e spirituale di Maria egli non doveva temere. Quel bambino avrebbe avuto un destino, una missione, del tutto particolare, segnalata dal significato del nome stesso che quel bimbo avrebbe dovuto ricevere, cioè Gesù.

Il messaggio che Giuseppe riceve, ritrasmesso fino a noi oggi dal Nuovo Testamento, è preciso ed inequivocabile: “Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1:21).

Benché per noi, lontani nel tempo e nello spazio dal contesto in cui era risuonato per la prima volta, i termini di quel messaggio possano possano essere poco comprensibili e facilmente equivocabili, la verità che esprime ha valenza universale. La Scrittura stessa ci aiuta ad interpretarlo e ad applicarlo anche a noi.

Venuto per salvare. Il nome “Gesù” deriva dall’ebraico e può essere reso in italiano con “Salvatore”. Esso corrisponde a quello del personaggio biblico di Giosuè, colui che aveva guidato il popolo di Israele ad entrare e stanziarsi nella terra che Dio aveva loro promesso. Gesù o Giosuè era sicuramente un nome comune a quel tempo, ma solo per il figlio di Maria di Nazareth esso avrebbe avuto una valenza unica.

Il messaggio afferma che la missione di Gesù sarebbe stata quella di “salvare”. A parte dall’uso che si fa di questo verbo nell’informatica, salvare significa “liberare dal pericolo”, “trarre in salvo” da situazioni nelle quali si corre il rischio di morire. Pensiamo al pronto soccorso degli ospedali, alla Croce Rossa, alle squadre di salvataggio o di “pronto intervento” in mare o in montagna, all’opera dei medici e dei terapeuti del corpo e della mente. Penso a chi salva persone da situazioni di indigenza oppure a coloro che non solo salvano dalla morte persone che vorrebbero togliersi la vita, ma anche che le accompagnano a restituirvi un senso.

La missione di Gesù sarebbe stata, e rimane a tutt’oggi, quella di “salvare”, ma da che cosa? Lo dice chiaramente il testo che stiamo esaminando: Egli è venuto essenzialmente per salvare creature umane dai loro peccati. E’ ciò che la Bibbia chiama peccato, infatti, quel che sta alla radice di tutte le disfunzioni presenti in questo mondo, sia a livello individuale che collettivo.

Una questione di vita e di morte. Pregiudicando il nostro rapporto con Dio, il peccato pregiudica anche la dimensione che potremmo chiamare “ultraterrena” della nostra esistenza individuale. Nelle Sacre Scritture, il peccato è qualcosa che di fatto mette a serio rischio non solo la nostra salute in tutte le sue dimensioni, ma pure la nostra vita stessa. Anche dire “mette a serio rischio” di fatto è un’espressione inadeguata che potrebbe “ammorbidire” indebitamente le conseguenze del peccato sull’esistenza umana di fatto gravissime e tragiche. E’ una condizione che le Sacre Scritture non temono di definire di assoluta perdizione. Sì, siamo creature condannate, perdute, irricuperabili, se non fosse che, per la Sua misericordiosa iniziativa, Dio interviene direttamente per porvi rimedio. Questo Egli ha fatto inviando fra di noi Gesù Cristo, la cui missione era e rimane quella di salvarci dal peccato e dalle sue fatali conseguenze.

E’ solo a nostro detrimento che oggi, infatti, a causa della diffusa ignoranza delle Sacre Scritture e dell’arroganza umana che pensa di saperla più lunga, spesso non si intende più correttamente il significato del termine “peccato” e la sua gravità. Il più delle volte, infatti, lo si equivoca, lo si ignora o, peggio, lo si mette in ridicolo.

Dobbiamo assolutamente ricuperare il significato originale ed autentico di peccato, quello che la Bibbia stessa ci insegna. Solo allora potremo apprezzare ciò che il Salvatore Gesù Cristo, è venuto a compiere, che può essere definito nulla di meno che “una questione di vita o di morte”.

Un concetto equivocabile. Il concetto di peccato è strettamente legato alla legge morale alla quale sovranamente Dio ha sottoposto la creatura umana. La Scrittura afferma: “Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge” (1 Giovanni 3:4). Peccato è mancanza di conformità alla legge di Dio, legge di perfetta giustizia e vita, legge condensata nel Decalogo mosaico. La non conformità alla legge di Dio inevitabilmente causa disfunzioni e morte. “...perché il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Morte è da intendersi qui in tutte le sue accezioni. La nostra società e la nostra esistenza stessa, infatti, è caratterizzata da malattia e morte a tutti i livelli. Il peccato, inoltre, ci rende del tutto incompatibili con Dio, per il quale eravamo stati creati. Dio detesta gli operatori di iniquità (Salmo 5:5). Essi sono sottoposti al Suo giusto giudizio di condanna, quella che la Scrittura chiama “ira di Dio”. Noi siamo creature condannate. Da questa tragica condizione non possiamo sfuggire.

Ecco, però, che Dio, che oltre ad essere giustizia è pure amore e misericordia, concede la grazia della salvezza nella Persona ed opera di Gesù Cristo, inviato in questo mondo come mezzo di riscatto e di riconciliazione con Lui. Nella Sua vita, morte e risurrezione, Gesù “salda il debito” del peccatore ravveduto che si affida a Lui e, tramite Lui, uomini e donne che Dio spiritualmente rigenera, iniziano un cammino di santificazione che culminerà nell’eterna comunione salvifica con Dio. “...perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). Gesù dice: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita!” (Giovanni 5:24). Lui è l’unica via d’uscita dalla disperata condizione umana, condizione che in Lui è rigenerata a nuova vita.

Il messaggio degli apostoli di Cristo è così chiaro e senza compromessi: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12), come pure: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti 2:38).

Il Suo popolo. C’è qui ancora un ultimo punto da considerare. Il nostro testo di partenza afferma: “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21). Cristo è venuto per salvare non l’intero mondo, ma “il suo popolo”. Di chi si tratta?

Con l’espressione “il Suo popolo” non si intende qui il popolo ebraico nell’ambito del quale Gesù nasce, benché indubbiamente molti israeliti allora avessero riposto la loro fiducia in Gesù come l’atteso Messia, trovandovi il perdono dei loro peccati e la vita eterna. Per “Suo popolo” si intende tutti coloro che, in ogni tempo e paese, Dio ha affidato a Cristo affinché vi trovassero la grazia della salvezza; tutti coloro che, ravvedendosi dai loro peccati, ripongono in Lui la loro fiducia e Lo seguono come proprio Signore e Salvatore.

Essi sono “i molti” profetizzati da Isaia: “Egli vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il giusto, il mio servo, renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità” (Isaia 53:11), e ai quali si riferisce l’Apostolo: “Infatti, ... per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti” (Romani 5:19). Lo stesso concetto è ribadito dall’epistola agli Ebrei: “...così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza” (Ebrei 9:28).

Essi sono coloro che Dio Padre affida a Gesù, come dice Egli stesso: “Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37). Essi sono “le pecore” di Cristo. “...ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Giovanni 10:26-27). E’ il “popolo speciale” che Egli è venuto a purificare: “...il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere” (Tito 2:14), coloro che sono stati “eletti secondo la preordinazione di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per ubbidire e per essere aspersi col sangue di Gesù Cristo” (1 Pietro 1:2).

“...perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” , potrebbe anche tradursi “la Sua chiesa”, come dice Efesini 5:25: “Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei”, la chiesa che qui è da intendersi non come un’istituzione terrena, ma una realtà spirituale conosciuta solo da Dio.

Un nome prezioso. Che cosa c’è, dunque, nel nome Gesù? Il dono più prezioso che mai si possa ricevere, Colui attraverso il quale vi è il perdono dei peccati attraverso il ravvedimento e la fede in Lui, la riconciliazione autentica con Dio. Ecco perché il messaggio dell’Evangelo attraversa i secoli per raccogliere tutti coloro che Dio vuole che facciano parte del Suo popolo e, traendoli dal resto dell’umanità perduta, concedere loro la grazia della riconciiliazione con Sé. Dice l’Apostolo: “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio” (2 Corinzi 5:20).

22 Dicembre 2019, Quarta domenica di Avvento

Letture bibliche:
Isaia 7:10-16; Romani 1:1-7; Matteo 1:18-25; Salmi 80:1-7, 16-18

Preghiera (colletta)

Purifica la nostra coscienza, Dio Onnipotente, visitandoci ogni giorno, affinché il tuo Figlio Gesù Cristo, alla sua venuta, possa trovare una dimora pronta e degna di lui; che vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

martedì 10 dicembre 2019

Fatti, non solo parole (Matteo 11:2-6)



Siamo sommersi più che mai dalle parole. Politici e leader religiosi fanno discorsi, esortazioni, dichiarazioni di intenti, promesse, danno consigli e ricette. Sono spesso solo fumo fastidioso. Non stiamo neanche più ad ascoltarli. Vogliamo vedere fatti, e non parole. Giovanni, "il battezzatore", aveva annunciato l'avvento imminente del Salvatore promesso, il Messia atteso. L'aveva indicato con precisione: "Eccolo colui del quale parlavo: Gesù di Nazareth". Giovanni, però, dopo un po' vuole ancora una conferma. Manda i suoi discepoli a verificare. Bei discorsi non bastano. Essi tornano e confermano: vi sono indiscutibili fatti. Nessuna ambiguità. Leggiamo di questo in Matteo 11:2-6.
"Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»" (Matteo 11:2-6).
Agli Israeliti, attraverso gli antichi profeti, Dio aveva fatto la promessa che un giorno sarebbe giunto il Salvatore per eccellenza, il Messia. La sua venuta avrebbe significato il riscatto della loro nazione e la sconfitta definitiva di tutti i loro nemici. Egli avrebbe inaugurato un'era di giustizia, di pace e di prosperità, la liberazione da ogni male. Giovanni, l'ultimo dei profeti, aveva indicato Gesù di Nazareth come Colui che tutti loro stavano aspettando, il compimento delle promesse. Si era così diffuso un grande entusiasmo. I nemici della loro nazione con I loro compiacenti servi, sembravano, però, più forti che mai e lo stesso Giovanni, per farlo tacere, era stato arrestato ed imprigionato. L'attesa rivoluzione sembrava effettivamente non materializzarsi. Giovanni si era forse sbagliato? Gesù era forse solo uno dei "falsi cristi" che ogni tanto sorgevano raccogliendo attorno a sé un movimento che sarebbe stato ben presto represso e soffocato? Giovanni è in preda al dubbio e così manda alcuni dei suoi discepoli ad accertarsi direttamente e a porre a Gesù stesso delle domande: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

La risposta di Gesù è "Considera I fatti". "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo".

Tre cose vanno dette su questi fatti che Gesù indica:

1) Si tratta di fatti coerenti con quanto le Scritture profetiche avevano annunciato, si veda, ad esempio, Isaia 35:1-10, da cui: "Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto". Le Sacre Scritture, vale a dire, la Parola di Dio, deve essere quella che interpreta I fatti - quelli che riguardano Gesù, come pure ogni altro fenomeno di questo mondo - non le nostre impressioni e presupposti soggettivi. Il nostro criterio per conoscere veracemente la realtà è la Parola di Dio.

2) Non si tratta solo di guarigioni fisiche quelle che opera Gesù, ma anche (come illustrano I vangeli) di guarigioni della mente e dello spirito umano. Esse comportano conseguenze benefiche per tutta la società umana, così come pure illustrano le espressioni di testi come Isaia 35. Ogni categoria di disabilità fisiche menzionate trova un corrispettivo nelle disabilità morali e spirituali che affliggono l'essere umano e che trovano nell'opera del Cristo, allora e oggi, il loro ristabilimento e guarigione. Cristo Gesù è Colui che toglie, sradica, il peccato dal mondo, dal cuore umano.

3) La "rivoluzione messianica" è molto diversa dalle sanguinose e violente rivoluzioni di questo mondo, perché parte dalla trasformazione del "cuore" della persona per allargarsi gradatamente alla società umana ed al mondo. Questa rivoluzione rientra nella categoria del "già e non ancora". L'opera del Messia è graduale e si manifesterà compiutamente quando Egli, come ha promesso, tornerà. Si veda quanto dice l'apostolo Giacomo nella sua epistola (5:7-8) sulla "pazienza" del credente che, come un agricoltore, dopo aver seminato e prendendosi cura delle sue piante, attende il momento del raccolto, dei frutti.

Ai poveri? Questa è la buona notizia (l'Evangelo del Regno di Dio che sopravviene in Gesù) e che è rivolta "ai poveri". Essi non sono tanto chi, in questo mondo, è privo di risorse materiali e di capacità, ma soprattutto chi, privo di pretese, non si aggrappa alle sicurezze fallaci di questo mondo e si affida completamente all'opera del solo Gesù Cristo.

I "poveri", però, sono anche coloro che sono privi, o rinunciano, a tutti quei presupposti errati che impediscono loro di abbracciare Cristo Gesù senza riserve perché sarebbero loro di ostacolo. Ecco perché Gesù qui soggiunge: "E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". Gesù, infatti "scandalizza" chi si accosta a Lui con idee sbagliate sul suo insegnamento e ministero. Il Cristo dei vangeli "scandalizza" chi va a Lui con pregiudizi. "Quel" Gesù scandalizza ancora oggi molti perché non corrisponde alle loro (errate) idee preconcette. Il più grande "scandalo" rimane ancora oggi chi non può accettare un Messia che muore in croce. Fintanto che rimarrete attaccati ai vostri preconcetti non potrete mai comprendere e ricevere I benefici della venuta di Gesù, il Cristo, il vero ed unico Messia. Che il Signore faccia cadere dalla vostra mente ogni preconcetto!

Come dice il Salmo 146: "Beato colui che ha per aiuto il Dio di Giacobbe e la cui speranza è nel SIGNORE, suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò ch'è in essi; che mantiene la fedeltà in eterno, che rende giustizia agli oppressi, che dà il cibo agli affamati. Il SIGNORE libera i prigionieri, il SIGNORE apre gli occhi ai ciechi, il SIGNORE rialza gli oppressi, il SIGNORE ama i giusti, il SIGNORE protegge i forestieri, sostenta l'orfano e la vedova, ma sconvolge la via degli empi" (Salmi 146:4-9).

Domenica 15 dicembre 2019 - Terza domenica di Avvento

Letture bibliche: Isaia 35:1-10; Giacomo 5:7-10; Matteo 11:2-11; Salmi 146:4-9

Preghiera (Colletta): Che la tua potenza, o Signore, si manifesti gloriosa fra di noi, e, proprio perché il peccato ci disabilita così dolorosamente, che la tua abbondante grazia e misericordia ci venga presto in aiuto e ce ne liberi; per Gesù Cristo, nostro Signore, al quale, con te e con lo Spirito Santo, sia ogni onore e gloria, ora e sempre. Amen.

domenica 1 dicembre 2019

Una fede che deve "lasciare il segno" su di noi (36. Galati 6:16-18)


Qual'é "il segno" che ci identifica come cristiani? In alcune tradizioni vi è chi fa un gesto, "il segno della croce". Può diventare persino un superstizioso "gesto scaramantico". Altri portano al collo una catenina con una piccola croce di metallo o di legno. La si appende non solo nelle chiese, ma anche alle pareti delle case. Oggi infuria la polemica se appenderla oppure no nelle scuole e nei tribunali come simbolo identitario. Se ci pensiamo bene, però, non devono tanto essere segni esteriori quelli che ci identificano come cristiani, ma una vita conforme alla volontà di Dio come vissuta dal Cristo. Questo è ciò che più conta. L'apostolo Paolo, come vediamo in questa nostra ultima riflessione sulla lettera ai Galati, diceva di portare in sé "le stigmate", o "il marchio" di Cristo. Che intendeva? Vediamo.
"E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio. D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen" (Galati 6:16-18).
L'Apostolo termina la sua lettera con una benedizione: "Su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio" (16). Il contesto della lettera mostra come per Israele di Dio qui siano da intendersi i cristiani della Galazia, ogni vero cristiano. L'Apostolo riassume in questo modo la tesi secondo la quale ogni credente in Cristo è indubbiamente vero figlio di Abraamo (3:6-29), figlio della "donna libera" proprio come Isacco (4:21-31). I falsi maestri asserivano che solo coloro che si sottopongono alla legge mosaica appartengono ad Israele. Ora Paolo afferma che tutti coloro che seguono l'Evangelo sono il vero Israele di Dio.

Attraverso tutta la sua lettera, Paolo si è appellato all'Evangelo come la sola regola da seguire nei nostri rapporti con Dio e l'uno con l'altro, la via maestra. Tutti coloro che seguono questa regola certamente faranno l'esperienza della pace e della misericordia nei loro rapporti con Dio e l'uno con l'altro perché "...è grazie a lui [e solo a Lui] che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione" (1 Corinzi 1:30). L'Evangelo, infatti, ci pone in pace con Dio sulla base della misericordia che Egli ci ha manifestato in Cristo. Allo stesso modo, tutti coloro che hanno fatto l'esperienza dell'Evangelo operano per promuovere la pace con altri esprimendo verso gli altri la stessa compassione che hanno ricevuto da Dio in Cristo.

Dopo la benedizione su tutti i cristiani, Paolo aggiunge un chiaro e fermo ammonimento contro tutti coloro che hanno arrecato molestia alle chiese della Galazia con le loro pretese ed il loro legalismo. Il loro attacco alle chiese Paolo lo prende come un affronto personale e lo respinge fornendo la base della sua autorità: "Io porto nel mio corpo le stigmate (il marchio) di Gesù" (17). Il "marchio di Gesù" sono le cicatrici lasciate su di lui dalle dure persecuzioni subite a causa di Cristo. Queste cicatrici dimostrano la sua "ostinata" fedeltà all'Evangelo di Cristo. I falsi maestri erano interessati al segno lasciato sul corpo dalla circoncisione rituale. Paolo attira l'attenzione sulle cicatrici che rimangono sul suo corpo per aver servito Cristo: una bella differenza! Quel che conta non sono i riti, le cerimonie e le formalità esteriori, ma una vita autenticamente vissuta secondo Cristo. Questa vita deve necessariamente "lasciare un segno" su di noi. Magari non saranno ferite visibili, ma chiediamoci davvero in che modo Cristo ci ha portato al sangue, al sudore ed alle lacrime di un autentico discepolato. Non quindi tanto simboli esteriori, ma vita vissuta! Tale prova di devozione a Cristo dovrebbe essere sufficiente per mettere a tacere i suoi critici. Lo è anche per i nostri critici? Vedono in noi "i segni" tangibili ed inequivocabili della nostra professione di fede?

La benedizione finale riassume il messaggio della lettera: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito. Amen" (18). La grazia di Gesù Cristo nel loro spirito, nel loro essere ed identità profonda, rende tutti i veri cristiani fratelli e sorelle nella famiglia di Dio.

Preghiera
Signore, non parole, ma fatti ispirati da Te: ecco ciò che desidero possa essere visibile attraverso tutta la mia vita. Non formalità, ma sostanza. Non cerimonie ma concrete espressioni d'amore, quelle che tu ci hai manifestato in Cristo. Amen.

Domenica 8 dicembre 2019 - Seconda domenica di Avvento

Letture bibliche: Isaia 11:1-10; Romani 15:4-13; Matteo 3:1-12; Salmi 72:1-7, 18-19.

Preghiera: Misericordioso Dio, che hai mandato i tuoi messaggeri, i profeti di Israele, a predicare il ravvedimento e a preparare la via della nostra salvezza: Dacci la grazia di prestare ascolto ai loro avvertimenti e di abbandonare i nostri peccati, affinché noi si possa accogliere con gioia, al suo ritorno, Cristo, nostro Redentore, chew vive e rega con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

lunedì 25 novembre 2019

Di che cosa ti vanti maggiormente?


Di che cosa ti vanti maggiormente? Delle tue imprese e bravura, di quello che possiedi, di quello che sai fare, delle tue amicizie importanti, della tua nazionalità? Per te potrebbe essere gratificante farlo, ma è generalmente fastidioso da udire e non fai comunque una bella figura, anche se lo fai con l'intenzione di farti ammirare ed apprezzare, e magari temere. Vantare deriva dal latino vanus, cioè vano, falso, mendace, oppure da venditare, cioè mettere in vendita, far valere. L'apostolo Paolo aveva rinunciato a qualsiasi motivo di vanto se non di una cosa sola che considera non solo legittima, ma anche commendevole. Di che cosa si tratta lo vediamo nel testo biblico di oggi,
"Io voglio vantarmi soltanto di questo: della croce del nostro Signore Gesù Cristo: poiché egli è morto in croce, il mondo è morto per me e io sono morto per il mondo. Perciò non conta nulla essere circoncisi o non esserlo. Ciò che importa è essere una nuova creatura" (Galati 6:14-15 TILC).
In netta contrapposizione con le orgogliose (e mondane) pretese dei maestri di legalismo, l'Apostolo riafferma con queste sue parole la sua fondamentale dedizione al significato ultimo della croce di Cristo (14) ed alla nuova creazione, quella che Cristo rende possibile in tutti coloro che si affidano a Lui come Signore e Salvatore, per l'opera efficace dello Spirito Santo (15).

Attenersi al significato ultimo della croce di Cristo (così com'é spiegato nel Nuovo Testamento) significa eliminare dalla nostra vita ogni ragione per vantarsi di ciò che siamo in noi stessi o realizziamo. Chi si identifica con Cristo, associandosi alla Sua morte in croce, di fatto "muore a sé stesso", squalifica quel che è in sé e le sue stesse opere, rinnega sé stesso, vanifica ogni umana vanagloria per dare gloria a Dio soltanto e ai Suoi propositi. Il termine abnegazione bene condensa questo concetto, definita dal vocabolario Devoto-Oli come: "la disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere istinti, desiderî, interessi personali, per motivi superiori, specialmente di ordine religioso o sociale". In che misura sono disposto a farlo? Come lo faccio?

Di fatto, su di questo si gioca il nostro essere cristiani e si manifesta la nostra stessa salvezza. Nel mondo tanti si vantano orgogliosamente della loro identità nazionale, della loro condizione sociale e religione, delle loro imprese, cultura, potenza, opere, bontà... Tutto questo è solo empia vanità, vanagloria: "Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole" (Ecclesiaste 2:11). Vivere secondo lo spirito di questo mondo conduce inevitabilmente a queste futili vanaglorie. Quando a tutto questo io "muoio", però, lo spirito di questo mondo non governa più la mia vita. La mia fede nel significato della croce di Cristo include non solo la consapevolezza che Egli sia morto per me, al mio posto, per salvarmi dal giudizio di condanna che la Legge di Dio rendeva inevitabile, ma anche la costante consapevolezza che io debbo considerarmi morto con Lui.

Non ho più motivo alcuno di vantarmi perché il mio vecchio io, caratterizzato dai valori transitori o pretesi di questo mondo, come pure dal peccato che mi rende sgradito a Dio e condannato, è morto. Questa rinuncia assoluta ad ogni possibile vanto, a causa della mia totale identificazione con il Messia crocifisso è l'aspirazione di ogni autentico cristiano.

La fede in Cristo non conduce solo a morire ai valori fallaci di questo mondo, ma conduce anche alla vita, quella vera, e ad un nuovo stile di vita: "Perciò non conta nulla essere circoncisi o non esserlo. Ciò che importa è essere una nuova creatura" (15). Vivere la realtà della nuova creazione può essere considerato il tema di quest'intera lettera. Abbiamo con Dio un nuovo rapporto, non siamo più servi, ma figli, liberi di rivolgerci a Lui come Padre (4:6). Abbiamo un nuovo rapporto l'uno con l'altro: non siamo più imprigionati e divisi da barriere razziali, sociali o sessuali: siamo ora liberi ed uno in Cristo (3:28).

Regola della vita di Paolo, e regola di ogni autentico cristiano è l'Evangelo: esso determina le dimensioni spirituali e sociali della sua vita. Paolo non si rapporta più con Dio sulla base della sua identità nazionale israelita (e noi sulla base di qualsiasi cosa che riteniamo importante secondo i criteri di questo mondo), ma sulla base della sua unione con Cristo nella Sua morte e risurrezione.

Preghiera

Signore, appartengo a Te, ho fiducia in Te e voglio seguirti. Quant'è vero, però, che ancora io debbo ravvedermi da molo di ciò che in questo mondo è motivo di fallace orgoglio! Aiutami a prenderne coscienza e a rinnegarlo, affinché sempre meglio io possa trovare in Cristo e nella Sua opera misericordiosa verso di me, il solo motivo del mio vanto. Amen.

Domenica 1 dicembre 2019 - Prima domenica di Avvento

Testi biblici: Isaia 2:1-5; Romani 13:11-14; Matteo 24:36-44; Salmi 122

Preghiera: Onnipotente Dio, dacci la grazia di respingere le opere delle tenebre e di indossare l'armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale in cui Gesù cristo è venuto a visitarci con grande umiltà; affinché nell'ultimo giorno, quando egli ritornerà in gloriosa maestà per giudicare i vivi ed i morti, noi si risorga a vita immortale; grazie a Lui che vive e regna con te e con lo Spirito santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.