lunedì 28 ottobre 2019

Sostenere chi ci istruisce nella Parola (31. Galati 6:6)



Una delle contestazioni che spesso vengono fatte alle organizzazioni religiose di qualunque tipo è quella di essere "sempre a caccia dei nostri soldi" e di volersi arricchire alle nostre spalle. Sfruttare la pietà religiosa come mezzo di guadagno, indubbiamente è stata e rimane, in tanti casi, un'odiosa pratica diffusa fin dall'antichità e che la Bibbia stessa condanna nei termini più forti. Come per tante altre cose in questo mondo si tratta, però, di un abuso che non può essere addotto per negare che chi si occupa di provvederci onestamente beni spirituali sia "degno del suo salario". Il principio è evidenziato nel testo che esaminiamo quest'oggi di Galati 6:6. Non è l'unico che ne parla, ma merita, come sempre, di essere considerato a fondo.

Leggiamo il testo biblico di Galati 6:6, un unico versetto: "Chi viene istruito nella parola del Signore condivida i suoi beni con colui che l’istruisce" (TILC), meglio tradotto con: "Chi viene istruito nella Parola faccia parte di ogni cosa buona (condivida le cose buone che possiede) con chi lo istruisce" [1]. 

Il termine "beni" (o "cose buone") indica tutte quelle cose che siano di utilità e vantaggio per la nostra vita, che riguardano, cioè, il nostro essere e benessere; tutte quelle sostanze, oggetti e servizi atti a soddisfare i nostri bisogni, primari e poi anche secondari. Vi sono "beni liberi" come aria, acqua, terra; i beni di consumo, destinati a un consumo immediato; i beni di rifugio, quelli che, in tempo di inflazione, sfuggono alla svalutazione o la subiscono in misura minore, ecc. Essenzialmente di carattere materiale, "i beni" sono frutto del nostro lavoro e quelli che provvediamo, spesso con molta fatica, per noi e per la nostra famiglia. Provvedere onestamente e con impegno i beni di cui noi e i nostri cari abbiamo bisogno è un preciso dovere cristiano [1]. C'è poi anche chi i beni di questo mondo si adopera avidamente ad accumulare per sé stesso. A questi Dio dice: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?". Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio" (Luca 12:20-21; cfr. Luca 16:25). 

Questo pure ci indica che non esistono solo beni materiali, ma anche beni spirituali che sono altrettanto se non più importanti dei beni materiali e che Gesù considera tesori preziosi e permanenti. Adoperarci per conseguirli è pure nostro dovere e interesse! Non solo, è anche nostro dovere compensare, sì, retribuire, chi ce li provvede, proprio perché sono preziosi e non comuni. Gesù stesso lo evidenzia in una sua iperbolica parabola: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo" (Matteo 13:44).

La sfida dell'Apostolo ai cristiani della Galazia di adempiere senza ritardo la missione che Dio ha loro affidato ["Ciascuno porterà il proprio fardello" (5)] è così ora controbilanciata dal riconoscimento che alcuni che stanno portando avanti la missione che Dio ha loro affidato nella chiesa di insegnare la Parola di Dio, devono essere sostenuti dall'intera chiesa. Si tratta di un'applicazione molto pratica del frutto dello Spirito. Lo Spirito che ispira "bontà" nel cristiano è lo stesso che ci chiama a condividere i nostri beni [pasin agathois (ogni cosa buona)] con chi lo istruisce.

Nella chiesa antica le comunità cristiane erano impegnate nello studio della dottrina biblica, in particolare chi si preparava al battesimo, il katēchoumenos (la parola qui usata, tradotta "chi viene istruito", da cui il nostro "catecumeno"), istruito da un insegnante (o catechista) sulla base di un insieme di insegnamenti (la catechesi). La chiesa antica possedeva un catechismo, un'istruzione formale nella teologia cristiana di base. La crescita nella fede di ogni singolo credente dipende, infatti, dal ricevere, in modo regolare e sistematico, l'insegnamento biblico.

In secondo luogo, la funzione dell'insegnante, o catechista, nella chiesa antica era spesso un'occupazione che impegnava a pieno tempo, il che implicava la necessità di considerarla un lavoro che la chiesa aveva il dovere di retribuire. Il fatto che Paolo, per alcuni periodi della sua vita, si guadagnasse da vivere attraverso un lavoro "secolare", era un'eccezione dovuta a cause contingenti, non la regola. Paolo presuppone che chi si impegna nella chiesa all'insegnamento biblico debba essere retribuito (1 Corinzi 9:14; 1 Timoteo 5:17). Paolo attribuisce grande importanza e dignità a chi insegna la parola e questo non può essere un hobby da praticare "quando si ha tempo".

In terzo luogo, quando i catechisti insegnano fedelmente la Parola di Dio e le chiese li ricambiano sostenendoli, v'è unità nella chiesa. Quando qui il testo parla della necessità di "far parte" dei nostri beni, di condividerli, con chi ci istruisce, l'originale usa la parola koinōneitō da cui deriva il termine koinonia (comunione, partenariato). La crisi delle chiese nella Galazia avrebbe potuto essere superata quando esse avessero pure preso molto seriamente la necessità di un'istruzione regolare e strutturata nel loro interno, coinvolgente tutti e con tanto di insegnanti retribuiti. Solo l'istruzione diligente nella dottrina cristiana trasmessa dagli apostoli avrebbe potuto proteggerli dall'infiltrazione di dottrine eversive e consolidare le loro comunità. Lo stesso vale oggi. Certo ogni cosa buona può essere abusata. Essendo talvolta questo il caso, si tratterà di avere strumenti a nostra disposizione per denunciare ed impedire tali abusi, non di pregiudicare il giusto principio che chi rende un importante servizio sia "degno del suo salario".

Preghiera. Signore Iddio, intendo prendere molto seriamente l'appello che rivolgi anche a me tramite il testo biblico di oggi di studiare in modo diligente e regolare la dottrina biblica. Ti ringrazio per coloro che Tu hai chiamato e preparato alla predicazione ed all'insegnamento della Parola e di cui io mi avvalgo. Desidero esprimere la mia riconoscenza verso di Te e di loro contribuendo responsabilmente al loro sostentamento. Nel nome di Cristo. Amen.

Note

[1] Così lo rendono la stragrande maggioranza delle versioni in lingua inglese. Il testo greco dice: "Κοινωνείτω δὲ ὁ κατηχούμενος τὸν λόγον τῷ κατηχοῦντι ἐν πᾶσιν ἀγαθοῖς". La traduzione corrente per diverse traduzioni italiane: "Faccia parte di tutti i suoi beni" può essere facilmente equivocata ed abusata. "πᾶσιν ἀγαθοῖς" significa semplicemente "tutte le cose buone", "ogni sorta di bene" (necessario).

[2] "Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele" (1 Timoteo 5:8); "...infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata (...), a questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità" (2 Tessalonicesi 3:10-12); "Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno" (Efesini 4:28).

Domenica 3 Novembre 2019 - Tutti i Santi, ventunesima domenica dopo Pentecoste


Preghiera: Onnipotente e misericordioso Dio, è solo per il tuo dono che il tuo popolo fedele ti offre un servizio vero e lodevole: Concedi che possiamo correre senza inciampare per ottenere le tue promesse celesti; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

domenica 27 ottobre 2019

Idoli pagani santificati?

La recente polemica sugli "idoli santificati" nella chiesa cattolica-romana ha suscitato un interessante dibattito richiamando l'attenzione (provvidenzialmente!) su una questione di fondamentale importanza: come dev'essere svolto il culto di Dio? 

Si tratta di una questione non solo da sempre dibattuta nell'ambito del Cristianesimo, ma che percorre tutta la storia del popolo di Dio fin dai suoi primordi. Pensiamo solo alla vicenda di Caino e Abele in Genesi. Essa non ha tanto a che fare con la questione dell'omicidio, ma con quella del culto accettevole a Dio. Le sue premesse sono, infatti: "Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta" (Genesi 4:3-5). Tanti oggi si metterebbero decisamente dalla parte di Caino, indignati dalla risposta di Dio: "...come si permette Dio di gradire l'offerta di Abele e di rifiutare quella di Caino? Ciascuno fa quel che si sente di fare ed ogni espressione di religiosità è accettabile!". 

No, non è proprio così: il culto è di Dio e non il nostro ed è Lui che sovranamente stabilisce come intenda essere adorato. Per tutto l'Antico Testamento è Dio che stabilisce, infatti, fin nei più piccoli dettagli, come debba essere svolto il culto - e le conseguenze del non attenervisi sono drammatiche e esemplari. Lo "spontaneismo" ne è del tutto escluso: il popolo di Dio deve onorare il Dio vivente e vero nei termini che Egli stesso stabilisce nella Sua Parola

Il culto deve essere puro, non solo riguardo ai sentimenti che lo ispirano, ma anche per quanto riguarda le sue modalità. Di fatto Dio stabilisce che verso di Lui il culto debba assumere caratteristiche radicalmente diverse da come altre fedi e religioni lo esprimono nei confronti delle loro divinità. Ogni compromesso sincretista, in qualunque modo possa essere giustificato, è severamente condannato. Tipica (e quanto mai trascurata) è l'ingiunzione che nel culto del Dio vero e vivente non ci si debba avvalere di immagini e rappresentazioni di qualsiasi tipo (statue, dipinti, simboli, ecc.). 

Nel culto di Dio vale il principio "Tutto ciò che non è prescritto od esemplificato nella Parola di Dio è proibito", il che oggi viene spesso capovolto nella fallace affermazione: "Tutto ciò che non è esplicitamente proibito nella Parola di Dio è accettabile". E' così che, infatti, si insinuano nel popolo di Dio pratiche di ogni tipo lodate oggi perché, si dice, sono "in buona fede" o sono ispirate da "lodevoli sentimenti", ma che in realtà sono aberrazioni delle cui conseguenze spesso non ne siamo consapevoli o minimizziamo. E' così che si moltiplicano i sofismi del Cattolicesimo romano (da sempre sincretista per vocazione) che vorrebbe accogliere nel suo seno ogni espressione di religiosità (magari "correggendola" e "perfezionandola") ma che è lontano mille miglia dallo spirito e dalla lettera dell'insegnamento biblico, non solo dell'Antico Testamento, ma anche del Nuovo, perché Gesù stesso afferma: "Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità" (Giovanni 4:23-24).

Le correnti aberrazioni dal puro culto di Dio sono rilevate (per giustificarle!) dal celebrato e "santificato" Cardinale Newman, quando scriveva: “L'uso dei templi, e di quelli dedicati a santi particolari, e decorati a volte con rami di alberi, incenso, lampade e candele; le offerte ex voto in caso di guarigione dalle malattie; l’acqua santa, l’asilo; le festività e le stagioni liturgiche, l'uso dei calendari, le processioni, le benedizioni sui campi, i paramenti sacerdotali, la tonsura, l'anello usato nel matrimonio, il rivolgersi ad est, e in un momento successivo anche le immagini, forse pure il canto ecclesiastico e il Kyrie Eleison: tutti sono di origine pagana, e sono stati santificati dalla loro adozione nella Chiesa”. 

Una chiesa che si arroga l'autorità di Dio stesso non "santifica", ma corrompe il culto del Dio vero e vivente e giunge di fatto a privare gli ignari suoi fedeli del vangelo della salvezza in Cristo Gesù, così come lo testimonia, lo proclama e lo spiega l'intera Bibbia. E' proprio per quel motivo che le contaminazioni pagane (tutte) vanno abolite dovunque esse sorgano (e non solo nella chiesa cattolica-romana) per conformarci a quanto Dio stesso ha stabilito nella Sua Parola. Queste sono le istanze della Riforma protestante, che rimangono a tutt'oggi rilevanti per l'intera cristianità.

martedì 22 ottobre 2019

La necessità dell'esame di noi stessi (30. Galati 6:3-5)



Viviamo nel tempo in cui si sospetta e si mette criticamente in questione ogni cosa. Esaminare e riesaminare noi stessi, però, non è altrettanto popolare, anzi sconveniente e per alcuni persino offensivo! Il culto di sé stessi e dei propri "diritti" non lo permetterebbe! La Parola di Dio, però, lo ritiene essenziale: ci sono criteri oggettivi con i quali confrontarsi. Quali sono? La lettera ai Galati ce ne parla.
"Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto [perché si paragona] agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (Galati 6:3-5).

Oltre a quelli che abbiamo esaminato nella riflessione precedente, un altro dovere della persona autenticamente spirituale, quella, cioè, condotta dallo Spirito di Cristo, è di essere sempre disposta a verificare sé stessa, sempre disposta all'attento esame di sé stessa, all'esame di coscienza, a tenere sotto controllo la propria condizione spirituale e cammino di fede. C'è infatti sempre la possibilità, al riguardo, di ingannare noi stessi, di "credere d'essere" mentre non lo siamo... 

Quale dev'essere il criterio della valutazione di noi stessi, il modello oggettivo rispetto al quale confrontarci? Con i criteri soggettivi che noi stessi riteniamo validi, inevitabilmente influenzati dalla cultura oggi prevalente? Con altri cristiani con i quali ci mettiamo così in competizione? Assolutamente no! La valutazione di noi stessi non dev'essere fatta sulla base del confronto con altri (4). Essa deve essere fatta secondo il criterio oggettivo della Legge di Dio incarnata nella vita del Signore e Salvatore Gesù Cristo. 

Dobbiamo poi chiarire soprattutto quale sia la missione che Dio personalmente ci ha affidato (5). Credersi indebitamente "profeta", "maestro" o "censore" non è infrequente in diversi credenti. Lo sono veramente? Potrebbe essere la loro un'indebita presunzione? "Infatti se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, inganna se stesso" (3). C'erano, fra i Galati, cristiani che avevano un'opinione così alta su sé stessi da impedire loro di assumere il ruolo di servitori e portare i fardelli degli altri. 

Gesù per primo aveva dato l'esempio di come si debba "lavare i piedi" l'uno dell'altro: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io" (Giovanni 13:12-15).

I legalisti erano così assorbiti dall'importanza della loro missione di imporre a tutti la legge mosaica che non avevano né tempo né interesse di "compatire" chi era afflitto dal peccato, né tolleranza alcuna per chi non riusciva a conformarsi alle loro regole. Si credevano importanti, mentre in realtà erano nulla. Paolo scrive: Se "non avessi amore, non sarei nulla" (1 Corinzi 13:2). Solo coloro che sono liberi dal senso della propria importanza sono in grado di servire gli altri con amore.

Come si può, però, "vantarsi in rapporto a sé stessi"? Ci sono due tipi di vanto: uno è l'ipocrita vanagloria rispetto ai criteri di questo mondo o alle regole di una religiosità egocentrica e carnale, l'altro è il vantarsi "della croce di Cristo" (14). Paolo si vantava della croce perché essa è la manifestazione ultima dell'amore di Dio per i peccatori coscienti della gravità dei loro peccati. 

Il Fariseo del racconto di Gesù così pregava "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano" (Luca 18:11). Il Fariseo non era tornato a casa giustificato, il pubblicano penitente, però, sì. Il vanto dei cristiani è paradossale perché è vantarsi di qualcosa (la croce) che, agli occhi del mondo, era qualcosa di vergognoso. I cristiani, però, celebrano la compassione che Dio ha avuto per loro in Cristo.

"Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (5). Non c'è contraddizione fra questa frase e quella del vers. 2. "Portate i pesi gli uni degli altri". Il termine "peso" e "fardello" si equivalgono in altri contesti, ma qui "fardello" si riferisce ai compiti affidatici dal nostro Maestro, di fronte al quale dovremo rendere conto di come abbiamo usato le opportunità ed i talenti che Dio ci ha affidato. 

E' proprio di adempiere la missione che Dio ci ha affidato nella vita che impariamo a portare i pesi gli uni degli altri. I cristiani esaminano il proprio operato per vedere se riflette l'amore di Cristo, quanto essi servano gli altri con amore.

Preghiera

Signore Iddio, guidami, Te ne prego, ad esaminare diligentemente la mia vita, affinché io mi conformi sempre meglio all'esempio del Tuo Figlio Gesù Cristo. Che io non mi vanti d'altro che di essere un peccatore salvato dalla Tua stupefacente grazia.

Domenica 27 ottobre 2019 - Ventesima Domenica dopo Pentecoste

Luca 18:9-14


Preghiera: Onnipotente ed eterno Dio, aumenta in noi i doni della fede, della speranza e dell'amore; e, affinché noi si possa ottenere ciò che tu prometti, facci amare ciò che tu comandi; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e rega con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

martedì 15 ottobre 2019

Voi che avete lo Spirito (29. Galati 6:1-2)


La differenza fra le ruote ferrate e le ruote rivestite di gomma degli pneumatici è evidente. I secondi sono elastici, leggeri e più efficienti. Sembra la differenza fra "la legnosità, la pesantezza e la lentezza" dogmatica della religione legalista e il dinamismo di quella pneumatica, quella, cioè, ripiena dello Spirito di Cristo. E' l'apostolo Paolo che, nella lettera ai Galati, letteralmente chiama "pneumatici" i veri cristiani, tradotto in "voi che siete spirituali" o "che avete lo Spirito". La superiorità degli "pneumatici" è evidente, e comporta responsabilità ma anche rischi. Vediamo.

Consideriamo oggi Galati 6:1-2 - "Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo".

Era il 10 giugno 1846 e lo scozzese Robert William Thomson brevetta un’invenzione che avrebbe cambiato la storia del mondo dei trasporti, quella dello pneumatico. L’idea, depositata a Londra si chiamava “Applicazione di supporti elastici intorno alle ruote di veicoli, allo scopo di diminuire lo sforzo necessario a trainarli, rendere il loro movimento più facile e attutire il rumore che fanno quando si muovono”. Era un'intuizione talmente rivoluzionaria che non fu minimamente considerata... Alcuni piantatori brasiliani, avevano intuito le proprietà e le capacità malleabili dell'albero della gomma e avevano spedito in vari continenti alcuni campioni di lattice lavorato a caldo. Gli oggetti che si potevano ottenere erano molteplici ma il materiale non era abbastanza solido e elastico per delle ruote. A rimediare è Charles Goodyear che, nel 1839, riesce, aggiungendo lo zolfo alla gomma ad ottenere un prodotto resistente ai cambi climatici che utilizza per rivestire i cerchi delle carrozze. Goodyear muore molto povero e il suo brevetto viene replicato senza che potesse far nulla e Thomson, possessore dell’unica carrozza con pneumatici, muore a 51 anni trascinando con se l’invenzione della “ruota aerea” che per molti anni viene scordata. L’uomo che inventa lo pneumatico moderno è John Boyd Dunlop (Scozia, 1840). Questi stava cercando di accontentare suo figlio che si lamentava di avere un triciclo lentissimo. Dunlop pensa così di riempire d’aria le gomme per alleggerirne il peso. L’esperimento funziona e Dunlop decide di depositare il brevetto (nel 1888). Il successo non tarda ad arrivare, un ciclista, William Hume decide di utilizzare questo prototipo e vince tutte le gare a cui partecipa. A Dublino nasce così la "Pneumatic Tyre and Booth’s Cycle Agency Limited". La disputa sui diritti di autore ne rendono difficile la diffusione. Nel panorama dei pneumatici appaiono inoltre i fratelli Michelin che hanno l’intuizione di inserire le gomme su un’automobile. Insomma finalmente lo pneumatico riesce a cambiare il mondo e la concezione del viaggio.

Questa mi sembra una buona illustrazione di ciò che dice l'apostolo Paolo quando parla dei veri cristiani come "pneumatici", pieni, cioè, dello Spirito di Cristo.

Fino a questo punto l'Apostolo ha condotto i cristiani della Galazia a comprendere lo sfondo storico e teologico della crisi in cui si trovano e ha esposto loro principi generali sulla "vita nello Spirito". Ora egli specifica quali siano le specifiche responsabilità che hanno coloro che sono condotti dallo Spirito di Cristo "Voi che avete lo Spirito", o "che siete spirituali" (1) [in greco οἱ πνευματικοὶ (oi pneumatikoi)] non è una speciale categoria di "super-credenti", ma cristiani autentici che vivono lo Spirito di Cristo, che vivono sotto il suo controllo, che me sono ripieni.

Essi hanno la responsabilità di risanare e ricostruire i rapporti pregiudicati all'interno della loro comunità, riportandovi l'unità. L'intensa opera di proselitismo portata avanti dai legalisti affinché i cristiani della Galazia si sottoponessero alle regole della legge mosaica, infatti, non aveva fatto altro che creare dispute e divisioni (5:15; 5:26). Le responsabilità dei credenti l'uno verso l'altro sono qui strettamente legate a quelle che essi hanno verso sé stessi.

La via del ricupero"Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa" . Ci si può ben attendere che in una comunità cristiana si facciano errori e si commettano peccati che causano problemi di vario tipo e arrecano danno sia ai singoli che alla vita comunitaria. Questo non deve sorprenderci: fa parte della nostra natura anche se siamo credenti. La cosa, però, non deve necessariamente essere considerata irreparabile: tutto sta in come vi si risponde. Il legalista dirà che chi sbaglia debba essere severamente condannato. Formalmente è giusto (le azioni disciplinari sono legittime), ma c'è una via migliore e più costruttiva. Chi è condotto dallo Spirito, coglie questa come un'opportunità per manifestare il frutto dello Spirito di Cristo al fine di risanare, ricuperare e riconciliare il peccatore. Senza per questo giustificare il peccato, la via di Cristo è quella della compassione per chi ha sbagliato e l'aiuto a "riparare i danni". Il peccato, inoltre, "causa dipendenza" e chi sbaglia deve essere sostenuto affinché questo non accada. Il motto del cristiano deve così sempre essere ricupero, ristabilimento, riparazione, riconciliazione, rialzare chi è caduto, e non, quando è a terra, ...mettere il piede sulla sua schiena affinché vi rimanga! E' soprattutto quanto mai necessario farlo, poi, "con spirito di dolcezza" o "mansuetudine" (uno dei frutti dello Spirito), umilmente, non come chi si crede superiore, ma consapevoli di essere passibili di sbagliare e cadere. Per questo Paolo passa al plurale al singolare: "vigila bene su te stesso", perché potresti cadere in tentazione prima di quanto tu creda. La consapevolezza della nostra vulnerabilità non solo ci fa stare in guardia ma anche ci fa essere compassionevoli e umili. Dipendiamo tutti dalla grazia di Dio.

La via della condivisione. Nella comunità cristiana abbiamo la responsabilità di condividere non solo i compiti ma anche di portare i fardelli (fisici, emotivi, mentali, morali e spirituali) l'uno dell'altro in spirito di volenteroso ed amorevole servizio reciproco. Molti di questi fardelli sono nascosti: per questo il cristiano è particolarmente sensibile ed attento agli altri. Può anche essere il fardello delle conseguenze del peccato. Il cristiano, così, non dirà mai, "è affar suo, ben gli sta!" ma, senza per questo condonare il peccato, sa stare accanto a chi ha sbagliato, confortarlo ed aiutarlo. Indubbiamente questo "adempie alla legge di Cristo" perché è esattamente lo spirito che Cristo aveva avuto nella Sua vita terrena, soprattutto quando sulla croce si fa carico Egli stesso dei peccati dei Suoi. Essere uniti a Cristo significa calcarne le orme. "Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi" (Giovanni 13:15).

Certo che essere "pneumatici" comporta anche dei rischi, come "le forature" od essere ripieni di "gas" inadatto che, invece di tenerci a terra, come dovremmo, ci fa "volare come palloni" (pieni di sé stessi e di spiritualità alienante). Gli "spirituali" corrono il rischio del fanatismo, e su quello debbono molto vigilare, ma si tratta di un'altra questione.

Preghiera. Signore Iddio, ispirami sempre meglio, Te ne prego, lo Spirito di Cristo, affinché io, con umiltà, sappia aiutare chi sbaglia a tornare sulla retta via. Rendimi sempre meglio disponibile ad aiutare gli altri a portare i loro pesi. Dammi però anche la disponibilità ad essere corretto io stesso ed aiutato, piegando il mio orgoglio. Amen.

Domenica 20 ottobre 2019 - Diciannovesima domenica dopo Pentecoste


Onnipotente ed eterno Dio, in Cristo hai rivelato la tua gloria fra le nazioni: Preserva l'opera della tua misericordia, affinché la tua Chiesa per il mondo perseveri con fede costante nel confessare il tuo Nome; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

lunedì 7 ottobre 2019

Essere cristiani "non è una passeggiata" (28. Galati 5:24-26)



Il comportamento che si definisce "stoico" indica oggi generalmente quello di chi sopporta con forza d’animo e impassibilità sofferenze fisiche e morali, che dimostra forza, determinazione, fermezza, rigorosa disciplina personale. Era quello dimostrato, insieme ad altre caratteristiche, dai seguaci dell'antica filosofia greca dello stoicismo [1], che pure ha paralleli in altre culture. Il personale rigoroso impegno morale e spirituale, però, è pure quello a cui è chiamato il cristiano che, volendo essere degno di tale nome, intende seguire l'insegnamento del Nuovo Testamento. Le espressioni usate dall'apostolo Paolo nel testo biblico che esaminiamo oggi, a questo riguardo sono inequivocabili.
"Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri" (Galati 5:24-26).
L'apostolo Paolo conclude qui la sua elencazione delle opere "della carne" (quelle dell'egocentrismo terreno) e dei frutti dello Spirito con un'affermazione riassuntiva a riguardo dell'esigenza che abbiamo, come cristiani, di mortificare la nostra natura peccaminosa: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (24), come pure sulla vita vissuta nello Spirito di Cristo: "Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (25).

Perché si consolidi in noi la vita nello Spirito di Cristo è necessario "far morire la carne", vale a dire, trattarla duramente, nientemeno che "crocifiggerla"! Appartenere a Cristo vuol dire avere "crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (il suo egocentrismo con le passioni e i desideri che esso produce). Il tempo che Paolo qui usa è il passato, per indicare qualcosa che già deve essere successo per il credente all'inizio del cammino della sua vita di fede, cioè aver preso la risoluzione netta e spietata, assoluta ed irreversibile come una crocifissione, di rinunciare al male. In un'antica liturgia battesimale si chiede al battezzando: "Rinunci al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?", al che egli risponde: "Rinuncio". E poi: "Rinunci alle seduzioni del male per non lasciarti dominare dal peccato?", "Rinuncio"; "Rinunci a Satana, origine e causa di ogni peccato?", "Rinuncio". Se il ravvedimento e la rinuncia al male sono "fatali" come la crocifissione, questo significa che il cristiano dice un no assoluto e senza condizioni a tutti i desideri peccaminosi ed alle passioni.

La rinuncia al male, però, non è solo un voto battesimale, ma una disciplina pratica quotidiana. Ad ogni proposta o tentazione di cedere a ciò che Dio considera un male, il cristiano così dice: "Assolutamente no". Si tratta di una vera e propria lotta spirituale: "Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro" (17). La natura peccaminosa, infatti, non sarà mai completamente sradicata in noi in questa vita. E' quindi è necessario essere sempre impegnati a lottare contro di essa. L'espressa rinuncia a ciò che Dio considera un male non è qualcosa di qualcosa di "negoziabile": deve essere chiaro e definito. Non vi può essere alcuna trattativa di pace con Satana.

Il perfezionista che parla come se la sua natura peccaminosa fosse stata completamente sconfitta si inganna ed ha perduto di vista l'inevitabilità di questa lotta quotidiana. Il pessimista che si scoraggia dicendo che "tanto è una guerra inutile perché perduta" cede troppo presto le armi e perde di vista il fatto che possiamo essere vittoriosi identficandoci attivamente con Cristo sulla croce.

L'esecuzione della "condanna a morte" della nostra natura peccaminosa è seguita dall'attiva espressione della nuova vita nello Spirito: "Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito" . Tradurre quel "camminiamo" senza ulteriori qualifiche potrebbe quasi sembrare un "andare a fare una passeggiata di piacere", mentre, in realtà, il verbo che così traduciamo, nell'originale greco, è στοιχέω [stoicheo], cioè "marciare al passo", da cui, meglio tradotto, sarebbe "marciamo secondo lo Spirito". Si tratta del camminare in schiera secondo una particolare cadenza imposta dal tamburo, o dall'uno-due di chi comanda il drappello. E' dunque un termine militare che implica disciplina, impegno e ubbidienza, e "la cadenza" della marcia è imposta dallo Spirito di Cristo!

I tempi dei verbi usati da Paolo nell'originale sono: indicativo ("Se viviamo"), e imperativo: ("Camminiamo", letteralmente: marciate al passo!). E' la stessa combinazione dei versetti 1 ["Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi" ] e 13 ["Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne"]. L'imperativo esprime la nostra responsabilità di proteggere la nostra libertà dalla schiavitù sotto la legge, di far uso della nostra libertà per servire l'uno all'altro nell'amore e di "tenere il passo" imposto dallo Spirito. E' lo Spirito, infatti, che "batte il tempo della marcia": il che implica concentrazione e disciplina: non possiamo rallentare o andare troppo veloci.

L'esempio pratico di questo l'Apostolo lo fornisce al v. 26: "Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri" (Non dobbiamo quindi più essere gonfi di orgoglio). I cristiani della Galazia si erano infatti divisi fra di loro per orgoglio e vanagloria, il che dava origine a provocazioni ed invidia. Nella loro pretesa di osservare la legge mosaica, quei cristiani erano diventati molto competitivi nella loro vita spirituale, uno cercava di fare di più e di meglio dell'altro. Non era, però, una competizione sana, perché metteva l'uno contro l'altro come se avessero dovuto conquistare "il premio" sbaragliando gli altri. Nella vita cristiana, però, si cammina insieme, portando i pesi gli uni degli altri.

"Provocare" qui significa "lanciarsi una sfida in una competizione". Alcuni erano perciò così sicuri della loro superiorità spirituale da volerla provare in una sorta di gara. Altri si sentivano spiritualmente inferiori e provavano risentimento verso coloro che li facevano sentire in quel modo. La vanagloria è un cancro spirituale che divora ogni possibilità di amore e persino di buon senso. L'unico rimedio per questo tipo di cancro è un'operazione chirurgica radicale: dobbiamo crocifiggere la vanagloria della nostra natura peccaminosa ed essere condotti dallo Spirito, il quale solo ha la potenza di spodestare la dittatura della vanagloria.

La fede cristiana di cui ci parla il Nuovo Testamento equivale ad un impegno personale poco o per nulla compatibile con lo spirito della nostra epoca, che preferisce la vita comoda, il "tutto e subito" conseguito con il minimo sforzo possibile. Questo la dice lunga su tanto "cristianesimo" che si predica oggi, che temo sarebbe irriconoscibile agli antichi apostoli di Cristo venissero a visitarci. Non ne esiste, però, un altro. Il vangelo vissuto è quello annunciato e spiegato dal Nuovo Testamento. Qualsiasi altro è un vangelo falsato, menzognero.

Preghiera

Dammi, o Signore, di vedere la vita cristiana in modo molto serio ed impegnato come la rinuncia costante e la lotta contro tutto ciò che Tu, nella Tua Parola, ritieni un male, militando con Cristo ed avvalendomi della potenza del Suo Spirito messami a mia disposizione. Amen.

Domenica 13 Ottobre 2019 - Diciottesima domenica dopo Pentecoste

Letture bibliche: Geremia 29:1-7; Salmi 66:1-11; 2 Timoteo 2:8-15; Luca 17:11-19

Preghiera: Signore, ti preghiamo a che la tua grazia sempre ci preceda e ci segua affinché possiamo sempre dedicarci a buone opere; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

Note

martedì 1 ottobre 2019

Il frutteto di Dio (27. Galati 5:22-23)



Il Giardino dell'Eden, di cui ci parla Genesi 2, potrebbe essere per noi una bella illustrazione dei buoni frutti che si possono raccogliere in comunione con Dio. Più che "giardino" si potrebbe infatti meglio tradurre con "frutteto". Si tratta di qualità morali e spirituali che ci nobilitano e delle quali possiamo godere solo in comunione con Dio. L'unico "frutto proibito", naturalmente, è quello "dell'albero della conoscenza del bene e del male", perché la facoltà di stabilire ciò che è bene e ciò che è male spetta solo a Dio, e non a noi. In ogni caso, volete raccogliere e nutrirvi di buoni frutti? Si possono trovare solo presso Dio, ed allora manifesteremo nella nostra vita le qualità di cui ci parla il testo che esaminiamo quest'oggi: Galati 5:22-23.
"Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge" (Galati 5:22-23).

Il Signore e Salvatore Gesù Cristo ci mette in comunione con Dio e il suo Spirito produce in chi lo segue fiduciosamente le buone qualità di cui ci parla questo testo. Non si tratta di "una legge" da seguire, ma del prodotto spontaneo di un rapporto vivo con lui. 

Ci si potrebbe, però, chiedere: Vivere condotti dallo Spirito Santo equivale forse ad una vita che si permette facili licenze rispetto ai criteri morali che Dio ha stabilito nella Sua legge? Questo è ciò che il legalista contesta (etichettandolo come "liberale" a chi afferma che vivere secondo lo Spirito sia sufficiente). La risposta è: No, chi è condotto dallo Spirito di Cristo manifesta necessariamente il frutto dello Spirito. La descrizione che qui ne dà l'Apostolo è esattamente l'aspetto che prende il carattere morale di una persona quando essa è realmente trasformata dalla potenza dello Spirito Santo.

Le nove caratteristiche che qui Paolo elenca, non sono una nuova lista di leggi o codici morali da seguire, ma il risultato di un'autentica conversione a Cristo. Lo preannuncia l'Antico Testamento: "...finché su di noi sia sparso lo Spirito dall'alto ... allora la rettitudine abiterà nel deserto, e la giustizia abiterà nel frutteto" (Isaia 32:15-17). Lo evidenzia Gesù: "Li riconoscerete dai loro frutti ... ogni albero buono fa frutti buoni" (Matteo 7:16-20). Quando il tralcio è innestato nella vite e ne assorbe la linfa, esso produce della buona uva: "Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me" (Giovanni 15:4).

Il primo posto nella lista lo occupa l'amore [ἀγάπη, agape] infatti: "...tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»" (5:14); "...quello che vale è la fede che opera per mezzo dell'amore" (5:6). L'amore è dimostrato in modo tangibile nel sacrificio di Cristo "La vita che vivo ... la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me" (2:20), come pure nella prontezza del cristiano a servire gli altri: "Per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri" (5:13). Tutte le altre qualità morali di questo elenco definiscono e fluiscono a questo amore.

La gioia [χαρὰ, charà] è risultato di rapporti umani sani. Quando nella comunità cristiana si disattendono gli impegni della fraternità, scompare anche la gioia: "Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia?" (4:15). Dove vi sono conflitti ed amarezza, come fra i cristiani della Galazia, non c'è più gioia, perché essa è il risultato del vero amore.

La pace [εἰρήνη, eirene] è pure il risultato dei rapporti in cui prevale il servizio reciproco. Al posto di  "discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie" (20,21), i rapporti nella comunità cristiana sono impostati a pace.

La magnanimità (μακροθυμία, macrothumìa) tradotta anche con "pazienza" (Riv., CEI1974, ND) "longanimità" (Riv.) "lentezza all'ira" (Diodati), "comprensione" (TILC) si contappone all'impazienza, all'ira, alla mancanza di amorevole tolleranza. E' la qualità di coloro che sanno vivere con gli altri anche quando gli altri disattendono le nostre aspettative, ci irritano e ci fanno in vario modo soffrire.

La benevolenza (χρηστότης, chrestotes) e la bontà (ἀγαθωσύνη, agathosune) sono congiunte alla magnanimità per insegnare come una dolce disposizione d'animo e la costante disponibilità a fare del bene è il modo di stare con gli altri consono all'amore cristiano.

La fedeltà (πίστις, pistis) è la qualità di coloro che mantengono gli impegni presi con gli altri. I cristiani della Galazia erano stati molto incostanti nel loro rapporto con Paolo (4:13-16). Solo lo Spirito di Cristo può produrre la qualità della fedeltà ad ogni costo.

La mitezza (πραΰτης, prautes) o "mansuetudine" o "dolcezza" (Riv.) è l'opposto del coltivare ambizioni egoistiche. I mansueti non sono "vanagloriosi, provocandosi e invidiandosi gli uni gli altri" (26). Mansuetudine è espressione di umiltà, quella che considera i bisogni e i sentimenti degli altri prima dei propri obiettivi personali. 

Il dominio di sé (ἐγκράτεια, enkrateia) o "autocontrollo", "temperanza" (Riv.) "continenza" (Diodati) è l'opposto della dissolutezza, dell'atteggiamento di chi indulge ad ogni voglia, chi "si tiene". Coloro che sono condotti dallo Spirito di Cristo non vivono "secondo la carne", non soddisfano in modo sconsiderato i loro appetiti, indulgendo in "fornicazione, impurità, dissolutezza". Hanno la forza di dire di no a sé stessi, ai desideri della loro natura peccaminosa.

A coloro che vorrebbero vivere sotto la supervisione della legge mosaica, Paolo afferma: "Contro queste cose non c'è legge, ["La Legge, certo, non condanna quelli che si comportano così" (TILC)]. Egli, così, li assicura che se sono condotti dallo Spirito Santo, essi non sono sottoposti alla legge (18) semplicemente perché è lo Spirito di Cristo a produrre in loro tutte le qualità che adempiono ai requisiti della legge (14,23). Non c'è regola alcuna nella legge mosaica che possa essere citata contro tali qualità del carattere. Una vita condotta dallo Spirito non è una vita che non sia in armonia alla Legge, ma una vita che adempie alla legge, dove la Legge non è più vissuta come una costrizione, un dovere da assolvere, un fardello da portare. La legge, quindi, può essere adempiuta non vivendo sottoposti ad essa come schiavi, ma mediante lo Spirito come figli di Dio che vivono in armonia con Lui. Gesù stesso dice: "Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Matteo 11:30).

Preghiera

Signore Iddio, dammi di poter vivere sempre meglio la qualità di vita di chi è condotto dallo Spirito di Cristo. Per questo, o Signore, mi tengo stretto a Te affinché le virtù del Tuo amore fluiscano attraverso di me con una testimonianza cristiana irreprensibile. Amen.

Domenica 6 Ottobre - Diciassettesima domenica dopo Pentecoste


Preghiera: Onnipotente ed eterno Dio, tu sei sempre meglio disposto ad udire che noi a pregare, e a donare più di quanto noi desideriamo o meritiamo. Riversa su di noi l'abbondanza della tua misericordia, perdonandoci quelle cose che la nostra coscienza teme, e dandoci quelle buone cose che noi non siamo degni di chiederti, se non per i meriti e la mediazione di Gesù Cristo, nostro Salvatore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.