martedì 22 ottobre 2019

La necessità dell'esame di noi stessi (30. Galati 6:3-5)



Viviamo nel tempo in cui si sospetta e si mette criticamente in questione ogni cosa. Esaminare e riesaminare noi stessi, però, non è altrettanto popolare, anzi sconveniente e per alcuni persino offensivo! Il culto di sé stessi e dei propri "diritti" non lo permetterebbe! La Parola di Dio, però, lo ritiene essenziale: ci sono criteri oggettivi con i quali confrontarsi. Quali sono? La lettera ai Galati ce ne parla.
"Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto [perché si paragona] agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (Galati 6:3-5).

Oltre a quelli che abbiamo esaminato nella riflessione precedente, un altro dovere della persona autenticamente spirituale, quella, cioè, condotta dallo Spirito di Cristo, è di essere sempre disposta a verificare sé stessa, sempre disposta all'attento esame di sé stessa, all'esame di coscienza, a tenere sotto controllo la propria condizione spirituale e cammino di fede. C'è infatti sempre la possibilità, al riguardo, di ingannare noi stessi, di "credere d'essere" mentre non lo siamo... 

Quale dev'essere il criterio della valutazione di noi stessi, il modello oggettivo rispetto al quale confrontarci? Con i criteri soggettivi che noi stessi riteniamo validi, inevitabilmente influenzati dalla cultura oggi prevalente? Con altri cristiani con i quali ci mettiamo così in competizione? Assolutamente no! La valutazione di noi stessi non dev'essere fatta sulla base del confronto con altri (4). Essa deve essere fatta secondo il criterio oggettivo della Legge di Dio incarnata nella vita del Signore e Salvatore Gesù Cristo. 

Dobbiamo poi chiarire soprattutto quale sia la missione che Dio personalmente ci ha affidato (5). Credersi indebitamente "profeta", "maestro" o "censore" non è infrequente in diversi credenti. Lo sono veramente? Potrebbe essere la loro un'indebita presunzione? "Infatti se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, inganna se stesso" (3). C'erano, fra i Galati, cristiani che avevano un'opinione così alta su sé stessi da impedire loro di assumere il ruolo di servitori e portare i fardelli degli altri. 

Gesù per primo aveva dato l'esempio di come si debba "lavare i piedi" l'uno dell'altro: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io" (Giovanni 13:12-15).

I legalisti erano così assorbiti dall'importanza della loro missione di imporre a tutti la legge mosaica che non avevano né tempo né interesse di "compatire" chi era afflitto dal peccato, né tolleranza alcuna per chi non riusciva a conformarsi alle loro regole. Si credevano importanti, mentre in realtà erano nulla. Paolo scrive: Se "non avessi amore, non sarei nulla" (1 Corinzi 13:2). Solo coloro che sono liberi dal senso della propria importanza sono in grado di servire gli altri con amore.

Come si può, però, "vantarsi in rapporto a sé stessi"? Ci sono due tipi di vanto: uno è l'ipocrita vanagloria rispetto ai criteri di questo mondo o alle regole di una religiosità egocentrica e carnale, l'altro è il vantarsi "della croce di Cristo" (14). Paolo si vantava della croce perché essa è la manifestazione ultima dell'amore di Dio per i peccatori coscienti della gravità dei loro peccati. 

Il Fariseo del racconto di Gesù così pregava "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano" (Luca 18:11). Il Fariseo non era tornato a casa giustificato, il pubblicano penitente, però, sì. Il vanto dei cristiani è paradossale perché è vantarsi di qualcosa (la croce) che, agli occhi del mondo, era qualcosa di vergognoso. I cristiani, però, celebrano la compassione che Dio ha avuto per loro in Cristo.

"Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (5). Non c'è contraddizione fra questa frase e quella del vers. 2. "Portate i pesi gli uni degli altri". Il termine "peso" e "fardello" si equivalgono in altri contesti, ma qui "fardello" si riferisce ai compiti affidatici dal nostro Maestro, di fronte al quale dovremo rendere conto di come abbiamo usato le opportunità ed i talenti che Dio ci ha affidato. 

E' proprio di adempiere la missione che Dio ci ha affidato nella vita che impariamo a portare i pesi gli uni degli altri. I cristiani esaminano il proprio operato per vedere se riflette l'amore di Cristo, quanto essi servano gli altri con amore.

Preghiera

Signore Iddio, guidami, Te ne prego, ad esaminare diligentemente la mia vita, affinché io mi conformi sempre meglio all'esempio del Tuo Figlio Gesù Cristo. Che io non mi vanti d'altro che di essere un peccatore salvato dalla Tua stupefacente grazia.

Domenica 27 ottobre 2019 - Ventesima Domenica dopo Pentecoste

Luca 18:9-14


Preghiera: Onnipotente ed eterno Dio, aumenta in noi i doni della fede, della speranza e dell'amore; e, affinché noi si possa ottenere ciò che tu prometti, facci amare ciò che tu comandi; per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e rega con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, ora e per sempre. Amen.

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