martedì 28 aprile 2020

Il pastore e le sue pecore (Giovanni 10:1-10)





Il mondo della pastorizia, comune al tempo in cui Gesù predicava ed operava, era spesso rappresentato nelle sue parabole. Quelle immagini potrebbero non esserci oggi famigliari. In esse, però, continuano a nascondersi "i misteri del regno dei cieli" accessibili solo a coloro che gli appartengono, perché in esse loro riconoscono inequivocabile, la voce del Maestro. Egli aveva infatti detto: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato" (Matteo 13:11). Si tratta di una "discriminante" questa che al mondo non garba, ma che rimane oggi un dato di fatto, piaccia o non piaccia. Qual è la sua funzione? Lo scopriamo oggi attraverso la lettura del decimo capitolo del vangelo secondo Giovanni. Ascoltiamone una parte.
"1In verità, in verità io vi dico: Chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, quello è un ladro e un brigante; 2ma chi entra per la porta è il pastore delle pecore. 3A lui apre il portinaio; le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. 4E, quando ha fatto uscire le sue pecore, va davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5Non seguiranno però alcun estraneo, ma fuggiranno lontano da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa stesse loro parlando. 7Perciò Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti quelli che sono venuti prima di me sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta; se uno entra per mezzo di me, sarà salvato; entrerà, uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; ma io sono venuto affinché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Giovanni 10:1-10).
Quando insegnava, Gesù faceva spesso uso di parabole. La parabola, però, era più che un'illustrazione per far capire meglio il significato del suo discorso o per farlo rammentare più facilmente. Nell'ascoltare una parabola di Gesù, tanti non capivano affatto ciò che egli intendesse dire. E' il caso di quella su cui riflettiamo oggi, della quale è detto espressamente: "Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa stesse loro parlando" (10:6). Gesù lo faceva apposta: la parabola aveva per lui di fatto una funzione discriminante. La capiva chi doveva capirla, salvo poi spiegarla più tardi al suo gruppo ristretto di discepoli. L'ambiguità di Gesù era intenzionale: era il suo modo per schermarsi dalla gente in malafede che lo ascoltava, da chi verso di lui aveva pregiudizi o cattive intenzioni. Lo stesso era per la sua identità di Messia, di promesso Salvatore. Non lo affermava mai espressamente se non in rarissime occasioni. Questo faceva piuttosto innervosire i suoi avversari. Più avanti nel capitolo, infatti, essi gli dicono: "Fino a quando ci terrai con l'animo sospeso? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente" (10:24). Non glielo avrebbe detto: dovevano intuirlo e trarne le debite conseguenze. Glielo aveva "detto", si, ma attraverso le sue opere: "le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me" (10:25): dovevano trarne le conclusioni solo su quella base. Loro, però avrebbero fatto "orecchie da mercante" rifiutandosi di credere in lui.
Gesù era, e rimane, l'espressione della grazia di Dio che, dalla massa dell'umanità perduta di questo mondo, salva un numero selezionato di persone attraverso il ravvedimento e la fede in lui. Gesù non è venuto per salvare "tutti" . "Il Figlio dell'uomo ... è venuto ... per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti" (Marco 10:45). Per molti, ma non per tutti. Sono quelli che la Scrittura chiama "il suo popolo": "Ella partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai loro peccati" (Matteo 1:21). Essi sono quelle persone che dall'eternità Iddio ha sovranamente destinato alla grazia della salvezza in Cristo e che estrae da questa umanità perduta.
Per usare la similitudine del nostro testo, egli è il loro pastore ed essi sono le sue pecore, il gregge che gli appartiene. Esse "conoscono la sua voce" e fuggono dalla voce degli estranei,  "perché non conoscono la voce degli estranei" (10:5), perché solo di lui hanno fiducia. Lui le porta in "pascoli di tenera erba" e le guida "lungo acque riposanti", non solo, ma le protegge quand'anche dovessero attraversare la  "valle dell'ombra della morte" (Salmo 23). Queste "pecore" sanno quindi riconoscere "ladri e briganti", falsi leader politici e religiosi che solo conducono i loro seguaci alla perdizione. Essi, soprattutto, sanno distinguere il Pastore dal mercenario. "il mercenario, che non è pastore e a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore ... perché è mercenario e non si cura delle pecore" (10:12,13). Il buon Pastore, però, depone la sua vita per le pecore (10:15). Gesù soltanto, così come si esprime l'apostolo Pietro: "portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, viviamo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti" (1 Pietro 2:24).
Le sue "pecore" riconoscono la sua voce, ne comprendono la lingua, ne intendono i comandi, ubbidienti lo seguono fiduciosamente sapendo che egli mai le tradirà. Quand'anche quei comandi non fossero per loro del tutto chiari, egli si prende il tempo di addestrarle, privatamente, in disparte: "Poi, rivolto verso i discepoli, disse loro in disparte: Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete" (Luca 10:23).
Masse di persone seguono ciecamente i loro leader verso la perdizione, ma per i discepoli di Cristo, uno solo è il loro Signore, e quello seguono. I potenti di questo mondo potrebbero anche costringerli alla sottomissione, ma i discepoli di Cristo opporranno loro resistenza e non si piegheranno loro, costi quello che costi, anche a costo della sofferenza e della morte: "A questo infatti siete stati chiamati, perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguitate le sue orme" (1 Petro 2:21).
Il "gregge" di Cristo non è identificabile in alcuna particolare organizzazione ecclesiastica: la Chiesa di Cristo trascende le organizzazioni ecclesiastiche. Esse possono servire (nessuna prevenzione verso di esse), ma possono anche diventare un peso oppressivo. La "zizzania" e "ladri" e "mercenari" potrebbero prenderne il sopravvento ed allora coloro che appartengono a Cristo, se non possono altrimenti, fanno bene ad abbandonarle. Non si perderanno, però, perché troveranno sempre il modo di ritrovarsi con altre "pecore del gregge di Cristo" che riconosceranno immediatamente (così come riconoscono la voce del Pastore, il Cristo delle Scritture, fra tanti altri). Essi allora faranno come la prima chiesa: "Essi erano perseveranti nel seguire l'insegnamento degli apostoli, nella comunione, nel rompere il pane e nelle preghiera ... rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore ... lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo" (Atti 2:42,46,47).
Infine, che cosa faceva Dio in quel contesto? "Il Signore aggiungeva alla chiesa ogni giorno coloro che erano salvati" (Atti 2:47b), o meglio: "il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvazione" (Riv.), cioè quelli che erano stati destinati da Dio alla grazia della salvezza in Cristo. Continua a realizzarsi, così, quanto aveva detto Gesù stesso: "Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest'ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore" (Giovanni 10:16).
Questa è la realtà del gregge del Signore che sfida tutte le pretese umane, nella loro arroganza, tanto che questa fase della storia giungerà a compimento quando tutte le "pecore" di Cristo saranno raccolte nel suo gregge spirituale. Infatti: "questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine" (Matteo 24:14). Riconosci tu la voce del buon Pastore? Egli viene a cercarti e ti porterà nel suo gregge, quello di cui egli ha cura.

Preghiamo: Dio onnipotente, ti ringraziamo per aver donato a tuo Figlio - Pastore e Porta dell'ovile - il gregge di cui egli si prende cura. Ti ringraziamo per averci fatto diventare le sue pecore, per averci dato salvezza, sicurezza, vita e gioiosa abbondanza mentre seguiamo il nostro Pastore e ci allontaniamo da ladri, briganti e mercenari. Aiutaci ad avere la saggezza di conoscere la differenza tra tutte le voci che ascoltiamo. Aiutaci a sottometterci alla guida del nostro Pastore. E rallegriamoci sempre che siamo nel suo ovile. Nel Nome di Gesù preghiamo, Amen.

3 Maggio 2020 - Quarta domenica di Pasqua


Preghiera: O Dio, il cui Figlio Gesù è il buon pastore del tuo popolo: Concedi che quando sentiamo la sua voce possiamo conoscere colui che chiama ciascuno di noi per nome e seguirlo dove egli ci conduce; lui che, con te e lo Spirito Santo, vive e regna, un solo Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

mercoledì 22 aprile 2020

Erano insensati e tardi di cuore, ma... (Luca 24:13-35).





Potrebbe Gesù stesso dire anche a noi di essere "insensati e tardi di cuore" quando non riconosciamo la sua presenza nella predicazione della Parola di Dio e nella celebrazione della Santa Cena? Ci confrontiamo oggi con il racconto dei due discepoli che camminano sulla via di Emmaus e ai quali appare Gesù risorto, come lo troviamo nel capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Prima ascoltiamolo, e poi faremo al riguardo qualche riflessione.

I due discepoli sulla via di Emmaus"13In quello stesso giorno, due di loro se ne andavano verso un villaggio, di nome Emmaus, distante sessanta stadi da Gerusalemme. 14Ed essi parlavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Or avvenne che, mentre parlavano e discorrevano insieme, Gesù stesso si accostò e si mise a camminare con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo. 17Egli disse loro: «Che discorsi sono questi che vi scambiate l'un l'altro, cammin facendo? E perché siete mesti?». 18E uno di loro, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: «Sei tu l'unico forestiero in Gerusalemme, che non conosca le cose che vi sono accadute in questi giorni?». 19Ed egli disse loro: «Quali?». Essi gli dissero: «Le cose di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo. 20E come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno consegnato per essere condannato a morte e l'hanno crocifisso. 21Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto questo, siamo già al terzo giorno da quando sono avvenute queste cose. 22Ma anche alcune donne tra di noi ci hanno fatto stupire perché, essendo andate di buon mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, sono tornate dicendo di aver avuto una visione di angeli, i quali dicono che egli vive. 24E alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato le cose come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25Allora egli disse loro: «O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! 26Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. 28Come si avvicinavano al villaggio dove erano diretti, egli finse di andare oltre. 29Ma essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato». Egli dunque entrò per rimanere con loro. 30E, come si trovava a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse e, dopo averlo spezzato, lo distribuì loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero; ma egli scomparve dai loro occhi. 32Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?». 33In quello stesso momento si alzarono e ritornarono a Gerusalemme, dove trovarono gli undici e quelli che erano con loro riuniti insieme. 34Costoro dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35Essi allora raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane" (Luca 24:13-35).

Due discepoli di Gesù, tre giorni dopo la sua condanna a morte in croce ed esecuzione, ritornano a casa, abbattuti, tristi e delusi. "Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele" (21), dicono. Avevano le loro idee su quello che avrebbe dovuto essere per loro il Liberatore, il Messia, e forse avevano accolto in passato dalle parole di Gesù solo quello che meglio si confaceva con le loro idee, tralasciando il resto, sottovalutandolo, "spiegandolo" a modo loro... Uno di loro si chiamava Cleopa (18) e forse sarebbe stato un buon potenziale scrittore di un "Quinto Vangelo", il "Vangelo secondo Cleopa", uno dei tanti che di fatto sono stati scritti, diversi dai quattro canonici (Matteo, Marco, Luca, e Giovanni), fatti aggiungendo o togliendo cose diverse dalla verità rivelata, secondo idee personali, o ideologie. Anche oggi ce ne sono tanti presunti vangeli adattati alle ideologie correnti e fatti passare per buoni. Sono anche di successo - perché hanno sempre successo vangeli riveduti e corretti, "più convenienti", popolari, meno controversi, meglio "adatti allo spirito della nostra epoca", ma falsi, ingannevoli e, alla fin fine, deludenti.

Sulla via di Emmaus i due discepoli tristi e delusi, "parlavano e discorrevano insieme" (15), o meglio, discutevano animatamente fra di loro. Assomigliano alle discussioni accademiche che si fanno in certi circoli teologici o filosofici, o magari nelle scuole teologiche moderniste, dove i discepoli non sono lì, in fondo, per imparare dalle Sacre Scritture, ma per criticare, dibattere, confrontando e valutando, con criteri ad esse estranei. L'apostolo Paolo, mentre predicava l'Evangelo rivelato, ne aveva incontrati di questi critici di professione, tipicamente fra i filosofi di Atene che "non avevano passatempo migliore che quello di dire o ascoltare qualche novità" (Atti 17:21), tanto che ad un certo punto, in una sua lettera, egli scrive: "Infatti, che cosa hanno ora da dire i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo. Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annunzio di salvezza che sembra una pazzia" (1 Corinzi 1:20-21 TILC).

Si tratta di una "pazzia" che Gesù stesso riprende in quegli stessi due discepoli che incontra sulla via per Emmaus, e che non teme di chiamare "insensati e tardi di cuore" (25). Erano infatti stati esposti per molto tempo, prima all'insegnamento delle Sacre Scritture ebraiche e poi quello teorico e pratico di Gesù stesso, ma che cosa avevano di fatto compreso? "I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo" (16), dice il nostro testo a loro riguardo - impediti dal riconoscere il Cristo, il Messia, che non solo era li presente accanto a loro (e non lo riconoscevano) ma che poteva essere trovato in tutte le Scritture che già avevano esplicitato i termini del suo ministero. E' così, infatti, che mentre camminano Gesù, con grande pazienza, fa loro una ripetizione delle lezioni che già erano state loro impartite: "E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano" (27). 

Eh si, ci sono sempre studenti testoni e "tardi" ai quali bisogna ripetere sempre le stesse cose finché non imparino. Gesù spiega loro "da tutte le Scritture" ciò che lo riguardavano ...con buona pace anche di coloro che oggi sottovalutano e spesso accantonano l'Antico Testamento, come se fosse inferiore, come se non contenesse Cristo o non abbastanza, come se non fosse Parola di Dio altrettanto come il Nuovo Testamento, come se non contenesse quella Legge che continua ad essere regola di fede e di morale anche per noi cristiani... E' un po' come coloro che, rifiutandosi di cantare i Salmi biblici durante il culto (come dovrebbero) dicono che esse "non contengono Cristo" o l'Evangelo e quindi preferiscono i loro "inni" con testi "meglio adatti" e scritti da altri... E' una delle diverse tipiche obiezioni al canto dei Salmi, ma anche di loro Gesù direbbe: "Insensati e tardi di cuore". Non vedete come la Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi sono pieni di Cristo? Già, non vedono. Hanno bisogno di pazienti "lezioni di sostegno" e ripetizioni da parte di chi queste cose le vede (ammesso che stiano ad ascoltarli, senza accantonarli con sdegno). Aspettano forse che Gesù compaia loro personalmente per convincerli che le cose non stanno come loro pensano e fanno? Un giorno in cielo egli lo farà, ma che vergogna per chi si ostinava a non vedere il Cristo nell'Antico Testamento! La spiegazione dell'Antico Testamento, quando è fatta bene e veracemente, ancora oggi non solo è disponibile, ma può suscitare la stessa buona reazione che i due discepoli sulla via di Emmaus avevano avuto esclamando: "Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?" (32).

Oltre che da un'efficace istruzione biblica, i due discepoli "riconoscono Cristo" quando? "Allo spezzare del pane" (35)! La celebrazione dell'ordinanza della Cena del Signore, accompagnata dalla fedele esposizione delle Scritture, è infatti il mezzo istituito dalla Parola di Dio stessa per tutti i cristiani, in cui Cristo si rende presente. Non stiamo qui ora a discutere in che modo il Cristo si renda oggi presente attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Non è una presenza fisica (nessuna crassa idea di transustanziazione) e neanche una semplice presenza simbolica, ma Cristo è presente spiritualmente ma realmente nella celebrazione della Santa Cena, accompagnata dalla predicazione della Parola di Dio. Questo è stato e rimane fonte di grande consolazione per il popolo di Dio riunito. 

La Confessione di fede di Westminster, a questo riguardo afferma (la cito solo in parte): "Il Signore nostro Gesù Cristo, nella notte in cui fu tradito, istituì il Sacramento del Suo corpo e sangue, che chiamiamo Cena del Signore, affinché fosse celebrata nella Sua Chiesa fino alla fine del mondo, in memoria perpetua del sacrificio di Sé stesso nella Sua morte; per suggellarne tutti i benefici per tutti i veri fedeli; per essere il loro alimento spirituale e crescita in Lui; perché si impegnassero ulteriormente ad assolvere tutti i loro doveri verso di Lui; e per essere un vincolo e un pegno della loro comunione con Lui e fra di loro come membri del Suo corpo mistico" (29:1). "Gli elementi esteriori di questo Sacramento, messi debitamente a parte per gli usi ordinati da Cristo, hanno un tale legame con Lui crocifisso da essere veramente, ma solo sacramentalmente, chiamati con il nome delle cose che essi rappresentano, vale a dire il corpo ed il sangue di Cristo. Tuttavia, in sostanza ed in natura, essi rimangono veramente e solamente nulla di meno di quanto erano prima, vale a dire pane e vino" (29:5); "Coloro che ricevono degnamente questo sacramento, partecipando ai suoi elementi visibili, pure ricevono e si cibano di Cristo crocifisso e di tutti i benefici della Sua morte interiormente e per fede. Questo avviene realmente e veramente - non carnalmente e fisicamente, ma in modo spirituale. In questa ordinanza, il corpo ed il sangue di Cristo non si trova, infatti, in maniera corporea o fisica in, con o sotto il pane ed il vino, ma si rende presente alla fede dei credenti in maniera spirituale, non meno di quanto gli elementi stessi siano presenti ai loro sensi esterni" (29:7).

I due discepoli che stavano camminando sulla via che porta a Emmaus, nonostante si fossero rivelati "insensati e tardi di cuore" ricevono la grazia della rivelazione del Cristo risorto che insegna loro le Scritture e condivide con loro pane e vino. In quel modo noi oggi non dobbiamo aspettarcelo, ma la promessa della presenza reale di Gesù accanto a noi rimane quando riceviamo la predicazione o insegnamento fedele della Parola di Dio (Antico e Nuovo Testamento), come pure attraverso la celebrazione della Cena del Signore. Deve essere nostro impegno di parteciparvi dovunque e quandunque ne abbiamo l'opportunità, sicuri che il Cristo lo incontreremo e il nostro cuore "arderà" di gioia e riconoscenza, in attesa del suo ritorno. Toccherà poi anche a noi - sulla base della nostra esperienza - annunciare, condividere a tutti l'Evangelo, con la parola e i fatti. Sarà per noi cosa spontanea il farlo, "uscendo anche se è ormai notte". Fare come quei discepoli che: "raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane" (35).

mercoledì 15 aprile 2020

Una speranza viva e producente (1 Pietro 1:3-9)

Culto (liturgico) per Domenica 19 aprile 2020 - Seconda domenica di Pasqua [Contributi sonori di sei persone diverse, oltre a me: Francesco (Crawley), Paola (Palermo), Angela (Catania), Lucio (Roma), Daniela (Villar Pellice), Simone (Florida, USA].



Lettura biblica e predicazione



Una speranza viva e producente 
“Sono scoraggiato... sto perdendo ogni motivazione... chi me lo fa fare... non ne vale la pena...”: quante volte abbiamo sentito o pronunciato noi stessi queste frasi, afflitti perché il compito che ci è stato affidato ci è sembrato “un’impresa disperata” perché irto di difficoltà d’ogni genere? Come tali ci siamo sentiti impotenti di fronte alla circostanze che sembrano vanificare ogni nostra migliore intenzione. A volte anche il cristiano, colui che ha investito la sua vita al seguito del Signore e Salvatore Gesù Cristo, può sentirsi scoraggiato e demotivato per tante ragioni. C’è però un modo potente ed efficace per restituirgli coraggio e motivazione: guardare con fiducia alla risurrezione del Signore Gesù Cristo dai morti e lasciare che essa ispiri, sostenga, rafforzi e motivi la sua azione, la sua vita stessa.

Questo è il messaggio che traspare potente dal testo biblico che ci viene presentato quest’oggi, tratto dalla prima lettera dell’apostolo Pietro. Sentiamolo:

“Benedetto sia il Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, a una viva speranza per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per un'eredità incorruttibile, incontaminata e immarcescibile, conservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi. A motivo di questo voi gioite anche se al presente, per un po’ di tempo, dovete essere afflitti da varie prove, affinché la prova della vostra fede, che è molto più preziosa dell'oro che perisce anche se vien provato col fuoco, risulti a lode, onore e gloria nella rivelazione di Gesù Cristo, che, pur non avendolo visto, voi amate e, credendo in lui anche se ora non lo vedete, voi esultate di una gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il compimento della vostra fede, la salvezza delle anime” (1 Pi. 1:3-9).

L’apostolo Pietro scrive ai cristiani che sono dispersi in vaste aree. Sono cristiani isolati e perseguitati e potrei dire, con la tentazione allo scoraggiamento. Hanno bisogno di ricevere conferma e sostegno nella loro fede, ma anche di istruzione su come vivere la vita cristiana in un ambiente a loro ostile. Essi risiedono in questi luoghi “come stranieri”. Quando Cristo ci chiama a far parte del Suo popolo eletto, infatti, non ci sentiamo più a nostro agio nell’andazzo di quaggiù, siamo come degli stranieri, con tutto il “disadattamento” e l’ostilità che questo comporta. 

La prima parte di questa lettera celebra così la grazia che ci ha chiamato a far parte del Suo popolo eletto, ringrazia Dio e conferma quali siano le basi della nostra vocazione, ma soprattutto riafferma ciò che ci spinge a perseverare in essa, nonostante le difficoltà.

Fondamento e causa efficiente di ciò che Dio ha compiuto, compie e compirà in noi, e che pure ci spinge e sostiene a perseverare nella fede è “il sangue di Gesù Cristo” (2b), cioè l’efficace Suo sacrificio per noi, ma soprattutto “la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (3). Quando infatti il cristiano guarda alla risurrezione di Cristo dai morti, egli non contempla semplicemente un fatto oggettivo avvenuto nella storia. Non è un astratto articolo di fede in un certo qual senso lontano dai suoi interessi immediati, laggiù all’orizzonte. Essa è un valore anche soggettivo per chi la abbraccia con fede! Esso è pegno della sua eredità futura, ciò che di fatto gli permette di vivere con forza e speranza attraverso le difficoltà, le frustrazioni e le contraddizioni dell’attuale nostra vita. Di questo l’Apostolo se ne rallegra grandemente benedicendo e glorificando il nome di Dio e questo egli vuole comunicare ai suoi lettori.

I cristiani a cui scrive l’apostolo Pietro stanno vivendo un momento particolarmente difficile: devono subire dure persecuzioni a causa della loro fede. Si domandano se tutto questo veramente ne valga la pena. “Abbiamo investito la nostra vita in un fumoso sogno, in un mito? Non ci converrebbe di più vivere come tutti gli altri?”. La risposta di Pietro è inequivocabile: “No di certo. Ne vale la pena perché Cristo, risorgendo dai morti ha conseguito per voi beni unici che non vi saranno più tolti e che fruttano e frutteranno alla gloria di Dio e per la vostra salvezza”.

Quali sono questi beni preziosi godibili oggi e che giungeranno a compimento al ritorno di Cristo? Sono il frutto della grande misericordia di Dio verso la creatura umana: beni seminati nella morte sacrificale di Cristo in croce, che sono germogliati nella Sua tomba e che hanno fruttificato nella Sua risurrezione. Essi ci possono impartire non una pia illusione, ma una viva speranza. La risurrezione di Gesù Cristo dai morti ha reso per noi possibile. In primo luogo:

a) la nostra rigenerazione. La Bibbia parla dell’essere umano nella condizione in cui ora si trova, come di una creatura spiritualmente morta. Ci sorprende che da essa non se ne possa trarre nulla di buono? Ci sorprende che non produca e che anzi si corrompa sempre di più insieme alla sua società? Grazie alla risurrezione di Cristo ed attraverso l’annuncio dell’Evangelo, la creatura umana può giungere ad una vera e propria rinascita, una rigenerazione. Come Sue creature Dio ci dà l’essere naturale, ma pure vuole darci l’essere spirituale attraverso la nostra conversione a Cristo, miracolo della grazia di Dio non meno stupefacente che una risurrezione dai morti. Spiritualmente l’essere umano è come Lazzaro nella sua tomba. Quando però Gesù lo chiama ad uscire, il Suo appello è vivente ed efficace da suscitare in lui una risposta non altrimenti possibile. La generazione spirituale restituisce alla nostra natura corrotta compatibilità con il nostro Creatore. Tramite essa torniamo ad apprezzare ciò che è spirituale, santo e celeste, possiamo vedere, udire ed anelare le cose di Dio, vivere una vita di fede e di santità. Dio solo può essere la causa efficiente di questa rigenerazione. Promuovere questa rigenerazione spirituale concretamente possibile attraverso l’Evangelo della risurrezione è l’unica cosa che ci permetta di superare le frustrazioni del presente. In secondo luogo:

b) Un’eredità. Sostiene poi la vita del credente il pensiero che per la stessa grazia di Dio gli è assicurata “un’eredità incorruttibile". C’è un’immagine proverbiale di un ricco possidente che facendo contemplare al figlio la vastità dei terreni che possiede, gli dice: “Tutto questo un giorno sarà tuo”. L’erede riceve così tutto questo per diritto naturale. Che ci piaccia o no, non deve guadagnarselo, né meritarselo. ll credente, adottato per grazia di Dio come figlio Suo, diventa coerede con Cristo dei beni celesti: è un suo “diritto acquisito” in qualità di figlio, sia pure adottivo. Quest’eredità è libera essa stessa dalla corruzione, non è deteriorabile come i beni di questo mondo. Non la si può perdere per incuria o alienare a causa del nostro peccato perché noi pure come eredi acquisirà una natura incorruttibile. Essa è per natura pura e santa, libera dalla contaminazione del peccato. Esso è per tutti coloro che sono stati eletti secondo la prescienza di Dio, per coloro che sono stati rigenerati, lontano per sempre da mani avide, invidiose e distruttrici. Il solo pensare a quest’eredità che presto riceveremo ci dovrebbe incoraggiare e sopportare quaggiù ogni difficoltà.

(c) La Sua custodia. La risurrezione di Cristo ci sarà di incoraggiamento e di forza perché, avendo noi affidato a Lui la nostra vita possiamo godere della Sua “custodia”. L’Evangelo ci affida nelle sicure mani di Cristo: con Lui non dobbiamo aver più paura di nulla. Colui che è risorto è potente e fedele da proteggerci. Scelti da Lui e rigenerati, assicurati della certezza della nostra eredità celeste, abbiamo la gioia di sapere che siamo custoditi quaggiù fra mille difficoltà per giungere con sicurezza alla meta. Posti nelle mani di Cristo come in una fortezza, siamo custoditi nell’amore di Dio, legati da un patto di sangue e di grazia che Iddio onorerà. Ormai giustificati dal sangue di Cristo non saremo più passibili di condanna. Siamo stati inseriti nella famiglia di Dio, come figli. In stato di grazia e santità, nel timore di Dio, nella fede di Cristo, sul cammino della verità, siamo preservati a che la nostra debole natura non ci allontani da Lui.

Il peccato sempre ci tenterà e talvolta purtroppo cadremo, ma Cristo sarà vicino a noi per rialzarci. Potremo cadere magari nel dubbio ma la fede di Cristo non fallirà. Siamo custoditi non dalla nostra forza, ma dalla potenza di Dio; come circondati dall’accampamento di angeli, da un muro di fuoco alle loro spalle come l’antico popolo di Israele che camminava nel deserto verso la terra promessa. Di questo siamo sicuri per fede. Per avere questa certezza dovremo però sempre guardare a Cristo ed alla Sua vittoria sul mondo e su ogni altro nemico, senza lasciarci intimidire. In quarto luogo:

(d) La Sua gioia. Dono di Dio attraverso la risurrezione di Cristo sarà la gioia. Due volte nel nostro testo si parla del dono della gioia. E’ la gioia che il credente ha nel cuore quando comprende ciò che Cristo ha operato per lui. E’ la gioia per essere stato prescelto, rigenerato, "lavorato", gioia per le certe promesse del Signore a lui rivolte di realtà presenti e future.

Nella prospettiva della risurrezione di Cristo, che impartisce rigenerazione, un’eredità celeste, sicura custodia e gioia ineffabile, le difficoltà presenti assumeranno per noi un valore diverso. Consideratele, dice l’apostolo, una prova della vostra fede. Queste prove contribuiranno a raffinare, valorizzare la vostra preziosa, a renderla matura ed a contribuire alla gloria del Signore Gesù. Animato dallo spirito della risurrezione il cristiano è chiamato ad operare con vigore, speranza, certezza, gioia e serenità, guardando avanti al certo compimento delle promesse di Dio. 

Vivendo in questo modo diventerà sorprendente per molti che ci osservano dicendo: Voi dite di seguire Cristo: “pur non avendolo visto": com’è possibile? Davanti allo scettico Tommaso, Gesù risorto aveva detto: “Perché mi hai visto Tommaso, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Giovanni 20:29). Si, noi amiamo il Signore Gesù per quanto ha compiuto e compie per noi, "pur non avendolo visto". Ci è stato fatto conoscere attraverso la predicazione dell’Evangelo, Lo abbiamo ricevuto ed abbracciato; Lo abbiamo fatto oggetto del nostro amore dopo aver compreso quanto grande fosse stato il Suo amore per noi. Lo abbiamo amato per l’eccellenza delle Sue perfezioni; per la pienezza di grazia che era in Lui; per ciò che ha compiuto per noi e per noi è stato; per il Suo ministero continuo in nostro favore; Lo amiamo più di ogni altra cosa o persona, con tutto il cuore e sinceramente; su Lui ci appoggiamo come nostro Salvatore e Redentore, da Lui tutto aspettandoci ed investendo in Lui ogni cosa.

Abbiamo così udito e forse anche noi detto: “Sono scoraggiato... sto perdendo ogni motivazione... chi me lo fa fare... non ne vale la pena...”. se questo è il caso, siamo chiamati a riscoprire e a vivere lo spirito della risurrezione, a riscoprire la potente efficacia del Risorto nella nostra vita. Allora vivremo non con una pia e ingannevole speranza, ma con una speranza viva e producente.

Paolo Castellina, riduzione da una predicazione del 1997.